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di Stuart Rosenberg, con Robert Redford, Yaphet Kotto, Morgan Freeman
(Stati Uniti, 1980)
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Ciuffo biondo, occhi azzurri ed il resto cosí onesto che uno si domanda come ha fatto a finire in quell'inferno: Robert Redford capita da galeotto in uno di quei penitenziari spaventosi che il cinema, e anche la cronaca ci hanno spesso descritto. Non passano dieci minuti che il mistero è spiegato: Redford è il nuovo direttore, riformista come si dice, e si è intrufolato a quel modo per rendersi conto di persona dei tragici soprusi del sistema. Se l'inizio è fantasioso ma non privo di efficacia, il seguito è lamentoso. Non solo perché di queste faccende di direttori buoni che, cercando di redimere il mondo si scontrano ai cattivi di sotto e di sopra e sono costretti ad andarsene fra gli sventolii dei fazzoletti dei detenuti, se ne sono visti fin troppi. Ma perché qui il boyscoutismo, o se preferite l'ingenuità, o se volete il velleitarismo di un certo tipo di progressismo americano, raggiungono vette di comicità involontaria. Stuart Rosenberg è abile nel montaggio e nei momenti durante i quali l'azione progredisce in modo violento. Altrove ha la leggerezza leggendaria del pachiderma. Ed il film (che il regista ha ereditato da Bob Rafelson) i buoni sentimenti di un'epoca, e di una politica, ormai lontana.
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Il film in Internet (Google)
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Per informazioni o commenti:
info@films*TOGLIEREQUESTO*elezione.ch
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capolavoro
da vedere assolutamente
da vedere
da vedere eventualmente
da evitare
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