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  Stampa questa scheda Data della recensione: 23 aprile 1981
 
di Stuart Rosenberg, con Robert Redford, Yaphet Kotto, Morgan Freeman (Stati Uniti, 1980)
 
Ciuffo biondo, occhi azzurri ed il resto cosí onesto che uno si domanda come ha fatto a finire in quell'inferno: Robert Redford capita da galeotto in uno di quei penitenziari spaventosi che il cinema, e anche la cronaca ci hanno spesso descritto. Non passano dieci minuti che il mistero è spiegato: Redford è il nuovo direttore, riformista come si dice, e si è intrufolato a quel modo per rendersi conto di persona dei tragici soprusi del sistema. Se l'inizio è fantasioso ma non privo di efficacia, il seguito è lamentoso.

Non solo perché di queste faccende di direttori buoni che, cercando di redimere il mondo si scontrano ai cattivi di sotto e di sopra e sono costretti ad andarsene fra gli sventolii dei fazzoletti dei detenuti, se ne sono visti fin troppi. Ma perché qui il boyscoutismo, o se preferite l'ingenuità, o se volete il velleitarismo di un certo tipo di progressismo americano, raggiungono vette di comicità involontaria. Stuart Rosenberg è abile nel montaggio e nei momenti durante i quali l'azione progredisce in modo violento. Altrove ha la leggerezza leggendaria del pachiderma. Ed il film (che il regista ha ereditato da Bob Rafelson) i buoni sentimenti di un'epoca, e di una politica, ormai lontana.


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