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LILI MARLEEN Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 25 giugno 1981
 
di Rainer Werner Fassbinder, con Hanna Schygulla, Giancarlo Giannini, Mel Ferrer (Germania, 1980)
 
Il tema principale di LILI MARLEEN, ci dice Fassbinder, era questo: in un regime come quello del Terzo Reich si ha il diritto, per sopravvivere, di far carriera? E' in parte vero, ma solo in parte. La vicenda della modesta cantante, che sfonda con una canzone diventata celeberrima, e diventa uno strumento, più o meno consapevole, del nazismo si presta a delle riflessioni filosofiche o storiche. Ma ogni immagine del cinema di Fassbinder, d'altra parte, denuncia soprattutto una volontà: quella di sfuggire alla realtà, al razionalismo allo storicismo. I suoi movimenti di macchina, improvvisi avviluppano i personaggi. Per contraddirli, per rimetterne in questione le apparenze che noi spettatori ci eravamo già costruite. Gli sfondi colorati, ereditati dall'espressionismo ma interpretati con ironia spregiudicata, ci rimandano ai segni più risaputi dell'iconografia nazista. Le riprese attraverso i vetri, gli specchi che ci rinviano le pseudoverità dei personaggi, la fotografia che si sfuma e che sfrutta la profondità di campo, tutto ciò serve naturalmente al regista per creare la sua tipica, affascinante atmosfera. Ma soprattutto per fuggire da una descrizione razionale dell'evoluzione dei personaggi, per rifugiarsi nel melodramma, nell'indagine dei sentimenti. Quando a Lili Marleen affidano un rollino di microfilm da trafugare ai nazisti, non solo non ci emozioniamo, ma non ci crediamo. Come non ci crede Fassbinder. Perché le sue preoccupazioni sono altrove.

LILI MARLEEN, come tanti film del regista è una storia d'amore. Ma l'amore che racconta Fassbinder non è quello che ci ha raccontato il resto del cinema per tanti anni; la storia di Lili Marleen è quella, naturalmente, di una passione fisica e sentimentale più forte della violenza tragica del nazismo. Ma è una passione che non gratifica l'essere più debole, la donna. A Hollywood come a Cinecittà ci avevano insegnato che con l'amore si riusciva l'impossibile. Per Fassbinder, il mito di Cenerentola e delprincipe azzurro è invece una delle tante storielle che hanno raccontato i potenti per tenerci buoni. Come la cultura, come l'educazioneo il profitto, anche l'amore per Fassbinder, non è altro che un'arma del potere per dominare l'individuo, per impedirgli di accedere a delle classi sociali superiori.Se Fassbinder ha scelto il melodramma è per poter parlare di amore. E se ha scelto di parlare d'amore è perché questo gli permette di fare, in una forma che dovrebbe poter giungere a tutti, un cinema di analisi, o addirittura di lotta, sociale. «L'uomo è stato educato in modo da aver bisogno d'amore, ma non in modo da saper applicare, più tardi, i principi di eguaglianza nei suoi rapporti con il prossimo. Chi è più forte, in amore, sfrutta chi è più debole. Poiché è più semplice farsi amare che amare, coloro che lo sono ne approfittano in modo indegno...». Come nel Matrimonio di Maria Braun, quindi, l'eroina di Lili Marleen riflette il destino collettivo di una classe sociale. Unire la vicenda dell'individuo a quella della Storia rimane una delle ambizioni del cinema di Fassbinder. In un modo meno limpido che nel film precedente le fortune e le disgrazie di Hanna Schygulla sono quelle della Germania dell'autore. Se il privato e il sociale si coniugavano con armonia perfetta nel Matrimonio, non sempre la cosa si ripete qui.

Dopo il grande, e forse inaspettato successo di quel film, ancora una volta a Fassbinder sisono offerti tempo e denaro. Cose che da sempre, invece, gli erano state negate. E che gli avevano permesso di diventare uno dei registipiù sbrigativi, ed efficaci al tempo stesso, fra quelli in circolazione sui set.Ma queste grandi macchine non sempre si governano con facilità. Così mentre in alcune cose, come si è visto, il film è grande, in altre ildiscorso si sviluppa senza quella logica, alleata alla poesia, che aveva fatto gridare al miracolo nel Matrimonio di Maria Braun. Ritornando ad una stesura tradizionale del racconto cinematografico nei suoi due ultimi film, Fassbinder sembra in Llli Marleen voler far suoi anche certi cliché tipici di Hollywood: si veda così come inserisce le scene di battaglia, quasi degli stock-shots alla americana, con un montaggio estremamente ripetitivo anche se probabilmente voluto.Accanto a soluzioni che sembrano quasi di maniera ci sono soluzioni inventate con brio, intuizioni come quella della visita ad Hitler chelasciano a bocca aperta. Ma forse, dopo la parentesi gloriosa del film "per tutti" è venuto per Fassbinder il momento di ritornare a dimensioni più rilassanti.


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