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LA PROVINCIALE Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 1 ottobre 1981
 
di Claude Goretta, con Nathalie Baye, Angela Winkler, Bruno Ganz (Francia - Svizzera, 1980)
Uscito da oramai quasi un anno sugli schermi europei LA PROVINCIALE, ormai lo sappiamo, non ha ripetuto lo straordinario successo di pubblico del precedente LA DENTELLIERE. Anche se ne ha ripreso, almeno in parte, certe caratteristiche. Prima fra tutte quella di essere un ritratto femminile, attraverso il quale Goretta ci parla del mondo di oggi.Goretta è straordinariamente vicino alle sue protagonisEt: che si ami o meno il suo cinema non si può non osservare la grande complicità che lo lega alle sue creature femminili. Come lui stesso dichiara, il regista romando ha rovesciato un certo ordine di cose che regnava da tempo nelle regole cinematografiche: nei suoi film sono gli uomini a rivelare i personaggi femminili. E non il contrario.

LA PROVINCIALE descrive l'itinerario sentimentale e sociale di una giovane disegnatrice di provincia che si reca a Parigi in cerca di lavoro: si ritroverà confrontata alla tipica solitudine delle metropoli, alle delusioni sentimentali, alla logica spietata del profitto. Rispetto alla celebre Dentellière (che era soprattutto il ritratto di una coppia, e dell'impossibilità di comunicare dettata dalla cultura dell'uomo) un film molto più "sociale" quindi.Proprio per aver allargato la sua visione a un ambiente, per aver tentato un'analisi non solo esistenziale nel proprio aneddoto, LA PROVINCIALE mi sembra più sofferto, più autentico e utile del suo celebre predecessore. Certo il film ancora una volta, evidenzia in modo chiarissimo quali siano i pregi e quali i difetti del cinema di Goretta. Da un lato la sua estrema onestà, la sua sensibilità, il suo gusto per il lavoro ben fatto (un merito che non cesseremo di lodare, in un momento di apparente emancipazione tecnica del prodotto cinema, che nasconde al contrario il dilagare della facilità e del conformismo delle formule), la sua volontà di restare vicino allo spettatore, senza schermi intellettualistici, offrendogli delle storie e dei personaggi universali nei quali gli sia facile identificarsi. Ma dall'altro lato anche un certo semplicismo, una tendenza al moralismo ed al sentimentalismo. Il regista è sicuramente conseguente quando ci fa penetrare, assieme alla sua protagonista, nell'inferno delle convenzioni urbane e borghesi. Ma cosa propone come soluzione? A giudicare dall'eterno sorriso di Nathalie Baye, una specie di rassegnazione, di fiducia incrollabile in non si sa bene cosa, in una purezza di sentimenti un po' ingenua che il ritorno finale in provincia dovrebbe preservare.

La filosofia gorettiana è sicuramente più semplicistica del suo intuito di cineasta. Osservate l'ultima sequenza: quando Nathalie Baye, ormai sconfitta, umiliata, priva di lavoro e di speranza cammina fra le rotaie di una stazioncina di campagna, scacciando le galline che razzolano fra i binari. In un istante ritrova un gesto della sua infanzia, un ricordo della propria identità: un sorriso le affiora sulle labbra, assieme all'accenno di una canzone. Un ultimo raggio di sole le sfiora i capelli, mentre ritrova il passo di sempre. Se il discorso sa un po' di fotoromanzo, lo sguardo, di una semplicità e di una dirittura questa volta commoventi, sono del cineasta. E il cinema, dovremmo saperlo da tempo, è proprio una questione di sguardi.


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