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CARO PAPA' Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 11 ottobre 1979
 
di Dino Risi, con Vittorio Gassman, Stefano Madia, Andrée Lachapelle, Aurore Clément (Italia, 1979)
 

Nell'animo di ogni comico si nasconde il desiderio di far piangere. Il timore, forse, di essere preso per un buffone. E la volontà, quindi, di dimostrare ad ogni costo di essere capace di parlare anche di cose serie. Chaplin ha impiegato tutta una vita per passare dalle comiche con le torte in faccia alla tragedia, o perlomeno al melodramma di Luci della ribalta. Con risultati che ancora oggi vengono discussi.

La cosiddetta commedia all'italiana si è decisa al gran passo assai più in fretta. Spinta non solo dall'evoluzione stressante dei nostri tempi ma ancor più (ed in questo va riconosciuta una sua autentica vocazione) dal desiderio e dalla necessità di testimoniare il clima di un momento storico che non è certamente esilarante. Dal Sorpasso a Profumo di donna ed a Anima persa anche il cinema di Dino Risi (al pari di quello di Monicelli, di Scola e di altri) ha riflesso questo passaggio delicato dalla farsa alla tragedia, questo desiderio di gelare la risata sulle labbra dello spettatore per immergerlo improvvisamente nel dramma. E farlo riflettere.

Quanto delicato sia questo passaggio è testimoniato dall'ultimo film di Risi, Caro papà. Per tutta la durata del film si ha una sola impressione: che l'autore prenda per idioti gli spettatori. Dalla prima all'ultima immagine sembra voler dire anche al più ottuso di loro: guarda che faccio sul serio, non si tratta di ridere, qui disquisisco sui drammi più profondi ed emblematici della nostra epoca. Qualcuno ha scritto che Caro papà sarebbe un capolavoro se volesse denunciare non tanto questi guai dei nostri tempi, quanto i luoghi comuni di chi li denuncia, primo fra tutti il cinema.

Purtroppo non è il caso, Dio sa se l'autore si prende sul serio, e se non ci risparmia proprio nulla. In Caro papà non manca niente: l'industriale col jet che da giovane una sua sensibilità l'aveva, ma che si sa, col passare dei tempi, lo stress, il consumismo, la giungla degli affari, il cinismo imperante, chi ha più il tempo per guardarsi attorno. Così, si ritrova con la moglie che deve curarsi (a Ginevra, naturalmente, non certo a Busto Arsizio) l'esaurimento nervoso da suicidio ripetuto. L'amante ragazzina che dice le parolacce in discoteca e si spoglia facile in soffitta. La figlia drogata che cerca di venirne fuori, naturalmente in una comune agricola. E ovviamente, tema del film, il figlio terrorista. Perché per Risi le ragioni per le quali un ragazzino milita in un partito di ultrasinistra, si droga e diventa un terrorista vanno ricercate nel fatto che in casa si sente incompreso.

Cosa può fare, allora, quel povero Gassman che deve calarsi nelle vesti, lussuose, dell'industriale in questione? Ha un'idea brillantissima: organizza una festa in piscina, invita i suoi amici industriali e politici; tutti assieme così ci facciamo una bella rappacificata, il figlio coi suoi amici terroristi e la figlia che torna un momento dalla sua comune agricola. Ottima idea: la festicciola produce ovviamente il suo effetto, e l'industriale dalla rinnovata lucidità familiare si ritrova sulla lista del figlio le vittime da gambizzare o, addirittura, eliminare.

Il tempo di fare un salto alla comune agricola per recuperare la figlia ed essere accolto da questa a sputi in faccia, eccoci ormai al finale col padre sulla sedia a rotelle, lacrime generali e riconciliazione. Ritrovati i buoni valori di un tempo, quelli perduti dalle più recenti generazioni, l'unità familiare, tutto si sistema: dimenticato il terrorismo e l'ultrasinistra il figlio può dedicarsi a spingere la carrozzella del padre.

 


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