Un film come Alien, occorre dirlo chiaramente, nasce per esigenze essenzialmente commerciali. C'è un film di fantascienza, Guerre stellari, che batte tutti i record d'entrate; ce n'è un secondo, Incontri del terzo tipo che ripete parzialmente il successo. La ragione della scelta del filone fantascientifico è evidente.
Lo stesso autore, l'inglese Ridley Scott, lo ha confessato apertamente. Aveva girato una splendida opera prima, I duellanti, accolto dalla critica con qualche riserva per il suo carattere un po' estetizzante, ma con fondamentale entusiasmo per le grandi doti compositive di Scott. I Duellanti hanno reso due soldi. Si trattava di un racconto di Conrad, due ufficiali che s'inseguono per mezza Europa, sfidandosi a duello all'infinito, senza una ragione, prigionieri di un vortice più forte di loro. Scott aveva filmato questa discesa agli inferni dell'autodistruzione con una voluttà fotografica affascinante. Non era soltanto accademia; nel suo film si sentiva l'odore delle taverne e delle scuderie, oltre il bagliore dei bivacchi. Ma alla gente di duelli, apparentemente, non importa molto. Ligia al vecchio principio che è il tema che conta, e non la qualità dello svolgimento, pare s'interessi attualmente di fantascienza. Cosi Scott ha deciso di somministrare la sua dose d’ irrazionale del quale abbiamo bisogno, dicendo chiaro e tondo che questa volta voleva anche far soldi. Alien non ha nulla a che spartire con Guerre stellari, anche se ci sono le medesime navi spaziali e gli effetti speciali che costano milioni di dollari. Guerre stellari era un capolavoro, ma per altre ragioni. Era un sogno, il giocattolo più prezioso che l'America si fosse mai offerta per rispolverare i miti della propria avventura. Da Tarzan a Andy Capp, da Buffalo Bill a Mandrake il film di George Lucas era una continua evasione, verso un universo magico sul quale generazioni di americani avevano puntato i propri sogni.
Alien non vola, anche se è la descrizione, perfetta, di un volo interplanetario. Non cerca implicazioni metafisiche, secondi fini mistici, rinvii ideologici. Forse, soltanto nelle splendide costruzioni di Giger, l'artista zurighese che è l'autore dei mostri che popolano e motivano il film, c'è un desiderio di trascendere dalla realtà per entrare nel mondo dei miti. Ma non nel resto del film. Tutt’altro: il motivo di maggior interesse dell'opera, a parte la bellezza dell'oggetto, il fascino della sua fattura, è proprio l'apparente inconciliabilità fra la sua natura realistica, e quella fantastica che domina il mondo della fantascienza. Alien, infatti, è un film di fantascienza pura. Ma anche di terrore. In esso ritroviamo i motivi più antichi di quel filone cinematografico: la tensione emotiva (notevolissima) del racconto nasce da un procedimento vecchio come il mondo. Quello di far camminare un personaggio lungo un corridoio, seguirlo con la camera mentre oltrepassa una, due soglie. Dietro ad una porta, presto o tardi, ci sarà qualcuno a menare una randellata sulla testa del nostro eroe.
In Alien non c'è il randello, ma un mostro alquanto schifoso, costruito molto bene. Il principio è sempre lo stesso, e funziona alla perfezione. Il cinema del terrore, si diceva, richiede una dote, quella delia perfezione, della precisione. Senza quella, tutto cade nel ridicolo, nel grandguignol. Ridley Scott si conferma grande cineasta anche qui, proprio per questa sua padronanza superiore del mezzo. Maestro nell'uso del linguaggio, egli riesce l'impossibile: fare del realismo per ottenere il terrore. E inserirlo in seguito in un contesto, quello della fantascienza, del tutto irreale. Il fascino del film sta proprio in questa sua doppia natura.