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CONVOY Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 14 dicembre 1978
 
di Sam Peckinpah, con Kris Kristofferson, Ali MacGraw, Ernest Borgnine (Stati Uniti, 1978)
 

Sono camionisti, ma sono cowboys. Il western è morto, ucciso, da troppa psicologia e da troppa violenza. Ma in Peckinpah, che non dimentica di esser stato uno dei maestri del genere (Sfida nell'alta Sierra, Il mucchio selvaggio), la nostalgia è più forte. Quante volte abbiamo visto al cinema dei personaggi come i camionisti di Convoy? Rotelle di un sistema, vaccari o autisti, che un bel giorno decidono di averne le tasche piene. E partono, prima uno, poi due, tre, quattro, tutta una fila. Per una avventura che si rivela ben presto priva di ogni significato, che non sia quello d'inseguire un orizzonte polveroso, una prateria o un'autostrada col sole che tramonta rosso e tremolante. Il mito dell'amicizia virile, la misoginia più o meno latente che confina la donna in un ruolo del tutto accessorio, il rapporto uomo-donna ridotto ad un eterno giochetto sentimentale, il gusto del rischio.

Peckinpah è stato uno dei registi più reazionari del dopoguerra: l'uso della violenza, che lui spesso contrabbandava per analisi di un fenomeno, era semplicemente un mezzo, odioso, per fare spettacolo. Qui (finalmente?) sembra aver raggiunto una serenità tutta sua. Non solo: ma sembra quasi guardarsi con autoironia. Rimangono, certo, le contraddizioni: certi temi progressisti (le rivendicazioni dei camionisti, il razzismo col quale è trattato l'autista negro) si mescolano con una visione delle cose che non è fatta certamente per piacere alle femministe. Per, godere Convoy non bisogna certamente essere di bocca finissima: il discorso, appena abbandonata la filosofia della evasione - ribellione e quella della solidarietà virile non è un portento di logica. Quando si passa alla descrizione degli imbrogli politici (il solito governatore che cerca di servirsi dei camionisti in fuga per le proprie ambizioni elettorali) sembra di tornare indietro di cinquant'anni di cinema.

Ma lasciate che lo schermo si allarghi, che si tratti di riempire uno spazio cinematografico, di sfruttare certe prospettive delle grandi distese americane, o di rendere il dinamismo dell'azione, ed ecco che il nostro si rivela per quello che è. Uno che il cinema (certo, un certo tipo di cinema) ce l'ha nel sangue. Ma la bellezza del cinema sta anche in questo: di inchiodarvi ad una poltrona per non perdere una parola del dialogo di Bergman; oppure di sedurvi con un diciotto ruote ripreso a filo dell'asfalto, fra polvere e sudore. Tutto sta nel rispettare le regole del gioco.


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