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COLTELLO IN TESTA (IL)
(MESSER IN KOPF)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 5 luglio 1979
 
di Reinhard Hauff, con Bruno Ganz, Angela Winkler, Hans Christian Blech, Heinz Hönig, Eike Gallwitz (uscito in DVD o BLU-RAY) (Germania, 1978)
 

(IN DVD, STREAMING, VOD, ecc: recensito in origine il 5 luglio 1979)

La Retrospettiva di Locarno 2016 sul Cinema della Repubblica Federale Tedesca dal 1949 al 1963 rappresenta un'occasione per ricordare qualche nome che ne è seguito.

Biologo, musicista, Hoffmann entra in un Centro di giovani durante una manifestazione. Richiamato da un uomo in uniforme, Hoffmann (Bruno Ganz, al solito magnifico) si gira, lo sguardo s'immobilizza nel terrore, un colpo d'arma da fuoco... Cos'è successo, esattamente ? Per la polizia, Hoffmann ha dato una coltellata al poliziotto; il quale si è difeso sparandogli in testa. Per Hoffmann, da quando esce dal lungo sonno dell'ospedale, l'interminabile rieducazione per poter di nuovo comprendere, parlare, mangiare, muoversi, per Hoffmann comincia una terribile inchiesta privata. La ricerca della verità, a ricostruzione di un mosaico impossibile, i pezzi del quale gli vengono forniti dalle mani non sempre in buona fede della polizia, degli amici di sinistra o anche da coloro che gli vogliono bene. Per il protagonista, insomma, il film sarà un ritorno alla vita dopo un'operazione al cervello. Ma, soprattutto, una ricerca disperata della propria identità. Terrorista secondo la polizia, martire secondo i suoi «amici» di sinistra, Hoffmann si ritrova dinanzi al poliziotto, nella scena finale del film: solo che, questa volta, è lui ad avere la pistola in pugno, e l'altro un coltello. Così come ha lasciato nel dubbio l'inizio dell'azione, Hauff termina sull'immagine, fissa, che precede la soluzione. Prima dello scoppio, o del «perdono». Ma, nel frattempo, non è ormai più questa la verità che noi cerchiamo. L'importante è diventato quel «coltello in testa»: come un individuo normale venga portato, dalle circostanze (o dalle forze del Male, se preferite) a dubitare di se stesso. Manipolato da sinistra come da destra, è il caso di dirlo, il protagonista è ormai un individuo confinato ai margini della società, ai confini della follia. Splendida sceneggiatura sulla Germania degli Anni 70, che Hauff filrna con grande padronanza, confermando una volta di più la grande maturità tematica e stilistica del nuovo cinema tedesco. Il pericolo, girando un tema del genere, era quello di cadere nell'esercizio di stile metafisico, nell'astrattismo formale sulla polivalenza del concetto di verità. Hauff evita la trappola, con delle immagini estremamente reali, quasi piatte nel loro desiderio di concretezza. Coadiuvato da quel grande attore che è Bruno Ganz, Hauff riesce un'opera che avrebbe potuto anche essere grandissima. Le manca una maggiore lucidità nella mezzora finale, ed un certo coraggio per trascendere un poco dalle immagini, dalla logica del racconto. Meno visionario di Wenders o di Herzog, o anche di Fassbinder, Hauff è comunque un autore che sa esattamente quello che vuole. Uno stile preciso al servizio di un'idea ben precisa, la testimonianza d'epoca. Vengono i brividi a pensare come questi concetti, apparentemente elementari, mancano alla maggior parte dei cineasti del resto d'Europa.


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