Un giocatore di rugby muore in un incidente stradale. Ma, giunto alle porte del paradiso, si sente dire che si tratta di uno sbaglio, e che può ritornarsene sulla terra. Il suo corpo, nel frattempo, è stato distrutto. Ed il problema allora, consisterà nel sistemare convenientemente il nostro in qualche altra fattezza. Un soggetto, come si vede, fra i più svitati; già trattato in una tipica commedia americana degli anni Quaranta da un regista senza infamia e senza lode, Alexander Hall.
Ora ci riprova Warren Beatty, attore di ottima reputazione che passa alla regìa. Il paradiso può attendere è qualcosa di più di una commedia divertente e ben recitata. Il soggetto stesso lo suggerisce, il vero tema è quello della ricerca dell'identità. Nel film, dietro l'apparente bonomia dei toni, affiora un'inquietudine che è quella di molti americani di oggi. La rimessa in questione di tanti miti, primo fra tutti quello del profitto e del benessere quali apportatori di felicità. S'infrange il sogno americano, e Dio è assente.
Beatty, pur non avendo il genio di un Altman o di un Penn, si aggancia così al filone principale del cinema americano di oggi: quello che rivede i miti di casa in technicolor.
Oscar alla Miglior Scenografia.