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IL MATRIMONIO DI MARIA BRAUN
(DIE EHE DER MARIA BRAUN)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 19 giugno 1980
 
di Rainer Werner Fassbinder, con Hanna Schygulla, Klaus Löwitsch (Germania, 1978)
 

Pochi cineasti contemporanei possono aspirare meglio di Rainer Fassbinder al titolo di eredi del melodramma, così come lo intendeva Douglas Sirk, maestro di quel genere nel cinema americano. E Fassbinder si è sempre vantato di girare dei melodrammi popolari. Ma autentici: non, cioè, dettati dall'immaginazione di una classe superiore; ma veramente simili a quelli vissuti dal proletariato. In questi melodrammi l'amore svolge un ruolo fondamentale. Al contrario del cinema tradizionale, dove è usato come illusione di livellamento fra le classi, di possibilità di accedere ad una situazione socialmente migliore (il mito di Cenerentola, del Principe azzurro, insomma), nei melodrammi di Fassbinder l'amore non è altro che un'ulteriore arma in mano alla classe dominante. Come la cultura, l'educazione, il profitto esso non serve ad altro se non a mantenere in uno stato di dipendenza la classe inferiore.

Anche in IL MATRIMONIO DI MARIA BRAUN, che venne presentato al Festival di Berlino del 1979, l'amore è al centro dell'attenzione del regista: sposa di un sol giorno, la protagonista viene separata subito dal marito, che viene mandato in guerra. Reduce quando ormai dato per disperso, il marito ritrova la moglie fra le braccia di un. amante occasionale: e, assumendosi la colpa di un delitto, finirà in carcere. Finalmente liberato, ritroverà la donna soltanto dopo un altro periodo di esilio, questa volta volontario. Ma anche il ritrovamento finale sarà di breve durata: un rubinetto del gas dimenticato. aperto, una sigaretta accesa, e la lunga rincorsa alla felicità di Maria Braun e del suo uomo potrà considerarsi, terminata. Almeno per questa esistenza terrena.

Raccontato In questo modo, IL MATRIMONIO DI MARIA BRAUN appare, oltre che lacrimoso, improbabile. Se, al contrario riesce ad essere uno dei film più credibili che il regista abbia girato negli ultimi anni, e certamente uno dei suoi più significativi, è perché Fassbinder ha legato il destino degli individui che descrive nel suo film a quello dell'ambiente nel quale questi individui evolvono. 0, se preferite, alla Storia.

La partenza del marito per la guerra è del 1943, lo scoppio fatale che conclude Il finale avviene mentre alla radio echeggia la cronaca di Germania Ungheria, la celebre finale dei Campionati del mondo di calcio, giocati in Svizzera nel 1954. Tra quelle due date la storia della protagonista, che Hanna Schygulla interpreta con una immedesimazione straordinaria, assomiglia maledettamente a quella della Germania. La Germania della disfatta dapprima, della sopravvivenza poi, della disponibilità (perché fin nei momenti più difficili, Fassbinder nega alla sua protagonista la definizione di prostituta) fino a quella del miracolo economico. Sarà proprio questo miracolo a far riuscire il marito di prigione, reo di aver eliminato l'americano che manteneva la moglie: ma che l'autore pensi della felicità effimera di questo miracolo, lo scoppio finale é metafora fin troppo evidente.

Ma se il film è grande, se è opera di poesia e non solo di saggistica socio-politica (come mi sembra essere l'intelligente ma glaciale TAMBURO di Schloendorff...) è proprio perché il simbolo, il parallelo fra il destino dei protagonisti e quello del dramma universale che li circonda non è mai evidente.

Il cinema di Fassbinder è quello della relatività, della continua rimessa in questione dei valori: IL MATRIMONIO DI MARIA BRAUN è una successione di colpi di scena, tesi a contraddire l'immagine che dei personaggi e degli avvenimenti si facevano gli spettatori nella scena precedente.

Da una parte il melodramma, dall'altra la Storia. Con le sue contraddizioni, la sua ambiguità, lo splendido personaggio di Hanna Schygulla rimanda continuamente lo spettatore da uno all'altra, come in un gioco perfetto di specchi, di rimessa in questione delle verità. Fassbinder ci racconta così della storia della Germania, ma senza sbilanciarsi troppo. Con quella testimonianza, cioè, che è più del poeta che dello storico. Il cinema di Fassbinder, definito così spesso incostante, barocco, frettoloso sembra raggiungere qui una sua maturità insperata. E dimostrarsi uno dei più radicati nella realtà del proprio tempo.

Raffinato creatore di atmosfere (si pensi all'uso fertilissimo dei suoni, della colonna sonora, oppure a quello della profondità di campo; o ancora alle immagini sfumate, che il regista mette a fuoco progressivamente, collegando a delle zoomate, che gli permettono di rendere perfettamente l'ambiguità delle situazioni, la duplicità dei significati) Fassbinder riesce ad essere crudamente realistico: ma per intervenire su questa realtà, per modificarla, per renderla, paradossalmente, astratta. Magico manipolatore del privato e del sociale egli riesce ad intervenire contemporaneamente sul mondo della coscienza degli individui e su quello del potere, della conduzione dei destini collettivi.

Tutto questo, come spesso accade nel cinema tedesco, senza cadere nella fredda enunciazione saggistica e nello schematismo. Raccontare una storia, in un ambiente che la significhi: dai primi anni del cinema, è il segreto per far parlare le immagini. E questo Fassbinder sembra conoscerlo perfettamente.


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