Il film di Marco Bellocchio del 1977 conferma l'ignoranza delle regole che distribuiscono il prodotto cinematografico. E' facile ripetere, infatti, che II gabbiano è una delle migliori riduzioni teatrali che il cinema ci abbia offerto negli ultimi anni. Ma Il cinema italiano offre occasioni d'oro ai suoi talenti più strombazzati, mentre obbliga voci assai più geniali al ripiego delle produzioni alternative.
II gabbiano, nell'opera dell'autore di due delle opere più straordinarie del cinema italiano del dopoguerra (I pugni in tasca e In nome del padre) è lungi dall’essere un'opera di ripiego: basterebbe la presenza di uno dei temi dominanti dell'opera di Bellocchio, il rapporto odio-amore tra figlio e madre, per agganciarlo perfettamente alle tematiche del regista. Il film è una specie di somma fra tre differenti sorgenti d'ispirazione: il teatro, che fornisce il tessuto di base, il dramma giovanile di Cechov, che Bellocchio rispetta appieno conservando la struttura originale. E la televisione, che ha prodotto il film.
Quest’ultima influenza indubbiamente lo stile del regista, conferendogli quel carattere sussurrato, intimo, tipico di un certo rapporto del mezzo televisivo quando vuol instaurare con lo spettatore un colloquio privilegiato. Influenza egualmente il suo cinema. Con l'introduzione degli sfondi paesaggistici (italiani, non russi), dell'uso del colore, del taglio delle immagini, montaggio, eccetera. Il risultato è al tempo stesso di una grande fedeltà al testo teatrale, e una amplificazione, una valorizzazione dei temi cechoviani che Bellocchio ha fatto propri, esaltandoli col proprio apporto cinematografico.
Cosi, Il gabbiano risulta da un lato di un'asciuttezza, un pudore ammirevoli della trascrizione. Dall'altro, si carica di un’emozione che investe i personaggi: la rassegnazione grigia, la solitudine quotidiana tipica delle creature di Cechov acquista una sua fremente disperazione a contatto con un'altra disperazione, quella solo apparentemente più moderna del regista.