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LA STANZA DEL VESCOVO Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 16 marzo 1978
 
di Dino Risi, con UgoTognazzi, Patrick Dewaere, Ornella Muti (Italia, 1977)
 
Ornella Muti
"La solitudine del mostro" era il titolo del nostro servizio sul film precedente di Dino Risi, ANIMA PERSA. Ciò che ha attirato il regista, del romanzo di Piero Chiara La stanza del vescovo, è probabilmente la similitudine del tema. 0, meglio, La possibilità di sfociare su dei significati cari al regista di PROFUMO DI DONNA.

LA STANZA DEL VESCOVO doveva inizialmente esser stato affidato a Comencini. E, a conti fatti, forse sarebbe stato tutto di guadagnato: perché il gioco di ANIMA PERSA, quello di trasformare un banale intrigo poliziesco, e un ambiente decorativo e decadente, in una riflessione sul desiderio di comunicare dell'individuo escluso, questa volta non riesce.

La Venezia di ANIMA PERSA è diventata il Lago Maggiore. Lo stesso odore di muffa, di fasti appartenenti ad un passato ormai perduto, di luci crepuscolari, di stagioni inutilmente rincorse e di memorie di guerre lontane affascina il protagonista di LA STANZA DEL VESCOVO: un giovane che percorre in lungo ed in largo, con una vecchia barca, un Verbano a tratti seducente. E lo spingono ad interessarsi di quanto accade nella vecchia villa, abitata da Tognazzi, reduce cinquantenne della campagna d'Africa, da una moglie sposata per soldi, e da una cognata affascinante. C'è tutto il gioco hitchockiano di mistero, che già in ANIMA PERSA costituiva la parte più banale e meno ispirata del film. Decisamente, Risi non è Brian de Palma.

Con uno splendido finale, in ANIMA PERSA, Risi riscattava però il tutto: Vittorio Gassman dava una delle interpretazioni più straordinarie della propria carriera. Ed il film si trasformava in un grido di angoscia, in una dolorosa richiesta di amore, espressa nell'eccesso di un barocchismo decadente e mostruoso, che serviva meravigliosamente. Nulla di tutto ciò in questo LA STANZA DEL VESCOVO. Il lago d'inverno è, come detto, a tratti cattivante, Tognazzi è bravo e volgarotto (oltre i limiti, mi sembra, segnati da Chiara nel romanzo), ma il passaggio dalla commedia al dramma, quel tocco magico che trasforma la banalità in esperienza di vita, non accade. Rimane una certa abilità ed un certo gusto che traspare pur nell'affrettata finzione di certe scene, la bella ed inquietante sensualità di Ornella Muti, probabilmente la meglio servita dal regista nel film. Non è molto.


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