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LA MARCHESA VON...
(LA MARQUISE D'O...)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 23 febbraio 1978
 
di Eric Rohmer, con Edith Clever, Bruno Ganz, Otto Sander (Francia, 1977)
 
Del gruppo di critici francesi provenienti dai "Cahiers du Cinéma", la celebre pubblicazione critica degli anni Sessanta, Eric Rohmer è uno dei pochi che continuano la propria strada. Assieme a Godard, Rivette, Truffaut, Chabrol, ognuno ormai con caratteristiche ben distinte dall'altro. Rohmer è, assieme a Rivette, quello che ha fatto il cinema apparentemente più cerebrale. Truffaut quello più sentimentale, Chabrol quello più tecnico e spesso commerciale, Godard quello più sperimentale e, forse, geniale.

I film che hanno preceduto questa LA MARCHESA VON... erano racchiusi in un ciclo chiamato dei Racconti morali. Rohmer prendeva un gruppo di persone, le racchiudeva in un contesto isolato da preoccupazioni di ordine materiale (per esempio un periodo di vacanze), e ne osservava minuziosamente il comportamento. Nel GENOU DE CLAIRE l'azione si svolgeva sul lago di Annecy, in MA NUIT CHEZ MAUDE era la regione di Clermond-Ferrand in inverno, nella COLLECTIONNEUSE la Costa Azzurra. Il cinema di Rohmer nei Racconti Morali è il cinema che viaggia all'interno dei personaggi. La ricerca, al limite dell'impossibile, delle motivazioni che spingono gli individui ad agire, la molla segreta che fa scattare l'azione dell'uomo, quella che fa muovere il braccio che va a porsi sul ginocchio di Claire. Un discorso non certo moralistico, ma introspettivo, avviato sulle tracce di un certo romanzo di analisi psicologica. Il tutto con una estrema purezza di linguaggio, con una unità di stile priva di compiacimento, ma tesa, al contrario, verso una essenzialità a tratti vibrante.

Un cinema,quindi, come un viaggio allietato dal fascino dell'intelligenza creatrice: i suoi limiti stavano talvolta nel fatto che era sempre la mente a precedere il sentimento. Nulla era lasciato al caso, all'incertezza, talvolta affascinante, dell'imprevisto e della fantasia.

Concluso il ciclo dei sei Racconti, Rohmer Illustra ora una novella di Heinrich von Kleist, scrittore tedesco della fine del Settecento. Incontra un testo la cui bellezza sta nell'estrema concisione, nella stringatezza e nella precisione dell'uso delle parole. Lo filma seguendo il principio della fedeltà assoluta, del rigore totale dell'immagine sul testo. E, paradossalmente, per quei piccoli miracoli che appartengono all'arte, ne esce il suo film più caldo e vibrante, più umano e comprensivo.

LA MARCHESA VON... vive su tre puntini di sospensione. Siamo in Lombardia, alla fine del Settecento, quando le truppe di Suvaroff attaccano una guarnigione tedesca, conquistando la roccaforte. La marchesa è la figlia del comandante: essa viene assalita dai soldati russi, e sarebbe violentata se non Intervenisse in suo favore un capitano di quelle truppe, un conte. Il testo di Kleist dice: "A quel punto, essa perse i sensi, e cadde a terra. Ed ecco che... le sue donne, spaventate, non tardarono ad accorrere. E lui, fece tutto il necessario per avere un dottore. Le rassicurò che tutto sarebbe andato per il meglio. E ritornò a combattere". I tre puntini permettono a Kleist, ed a Rohmer, di ricamarci sopra. La marchesa rimane incinta, senza sapere come e quando e di chi. La famiglia, dapprima incredula come lei, poi indignata, la scaccerà di casa. Il conte, riapparirà per chiederla in sposa. Ma per quale ragione? Per riparare ad un eventuale torto da lui inflitto, o per pura e disinteressata passione romantica? Lo spettatore non lo saprà mai, ed è giusto che sia così. Perché tutto il film diventa così uno splendido gioco d'incastri e di riflessi, nel quale la critica di una mentalità e di un comportamento borghese s'inserisce in una meditazione ancor più profonda. La verità assoluta non esiste: essa pi assumere cento aspetti, a seconda come la si guardi. La verità, così con ogni altro principio, può essere manipolata.

Su questa Idea, e sul bellissimo tedesco del testo di Kleist che gli attori della Schaubúhne Berlinese ci restituiscono con una cadenza impareggiabile, Rohmer ha costruito un gioco immagini nel quale nulla è lasciato caso. Ma che, grazie anche allo humour sottile ed Irresistibile che governa lo sguardo del regista, non cade mai nella freddezza del procedimento intellettuale. Ne LA MARCHESA VON... abbiamo l'incontro irripetibile di due temperamenti simili, uno letterario e l'altro cinematografico. La nostra emozione nasce anche dal fatto che questi due temperamenti sono separati da quasi due secoli di storia. Ed il risultato materiale di questo incontro spirituale è che una vicenda apparentemente assurda, patetica, completamente al fuori dalla nostra mentalità, diventa invece attuale ed estremamente critica nei confronti di quella società, ed anche della nostra.

A due secoli di distanza Rohmer ha trovato un testo squisitamente cinematografico, al quale non doveva aggiungere una virgola. Una sceneggiatura quale il più minuzioso degli sceneggiatori sarebbe stato incapace proporgli. A questo testo, il regista ha avuto la saggezza e l'abilità di "limitarsi" ad aggiungere alcune delle immagini più splendide che il cinema abbia dedicato ad un testo classico, un testo che, come testimonia il passaggio che riportiamo, non attendeva che di essere illustrato: "Arrossendo sempre di più, la marchesa guardava sua madre, e questa guardava suo figlio e suo marito con aria imbarazzata. Il conte avanzò verso la marchesa e, prendendole la mano, come se volesse baciarla, gli rinnovò la domanda. Il governatore lo pregò di sedersi e gli porse una sedia con un'aria leggermente compassata. Il conte si sedette, abbandonando cosi la mano della marchesa".


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