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“Come disse Freud, e un po' più tardi Groucho Marx, io non vorrei appartenere a nessun club che avesse per membro qualcuno come me”.

Le scene di vita coniugale (è un film di Ingmar Bergman quello che il protagonista si accinge ad affrontare, in una delle sequenze più esilaranti della pellicola) cominciano così: con Woody Allen ripreso di faccia, mentre si rivolge al pubblico, su uno sfondo unito.

E' il principio della confessione: come nelle sue opere precedenti (in particolare modo in PRENDI I SOLDI E SCAPPA, al quale questo ANNIE HALL si apparenta) i protagonisti strizzano l'occhio allo spettatore, stabiliscono con lui un rapporto di complicità. Woody o Diane Keaton parlano fra loro, mentre sullo schermo appaiono dei sottotitoli che trascrivono il pensiero che passa loro nella mente in quell'istante. Allo stesso modo, i genitori si rivolgevano alla platea; oppure lo schermo si divide in due parti (il procedimento dello “split – screen”) per mostrarci contemporaneamente le due famiglie, quella snob e conformista di lei, quella disordinata ma carica di umanità di Woody. Ancora, ecco la coppia dallo psichiatra, contemporaneamente: lei che guarisce in un paio di sedute, lui che si trascina da anni. “ Ci vado da quindici anni. Me ne concedo ancora uno, poi vado a Lourdes... “.

Teoricamente, molto teoricamente, IO E ANNIE è allora la storia di un fallimento matrimoniale, reso ancora più effervescente dal fatto che Allen e la Keaton sono stati in effetti marito e moglie. Si è già discusso a lungo sulla comicità intelligente e prorompente che il regista ha portato dalla scena al cinema: quella dell'humor ebraico di Nuova York, quella dell'ometto schiacciato da un mondo che vuol obbligarlo ad un ruolo più grande di lui. Al quale, fisicamente ed intellettualmente, egli cerca costantemente di adeguarsi. E la comicità verbale di Allen sembra di una creatività incredibile, a tal punto che spesso le sue gag risultano sprecate, ammucchiate come sono in poco spazio. Il disordine, accanto ad un genio indubbio, è sempre stato la caratteristica del suo cinema. Cosi, specie dal punto di vista formale le sue opere sono state spesso più che trascurate. IO E ANNIE appare comunque come il suo miglior film a tutt'oggi, proprio perché il meno disordinato nella costruzione: anche se gli effetti visivi sono (ancora?) infinitamente meno corrosivi di quelli parlati.

Ma è un fatto che il suo cinema va visto partendo dalla parola: ed è su quella che si articola tutto il resto. Ciò che il comico dovrebbe probabilmente cercare di fare (ed infatti qui sembra riuscirci per la prima volta) è rivalutare una forma di linguaggio semplice e lineare, che disturbi il meno possibile l'irruenza dell'eloquio comico. Dopo tutto, anche Chaplin aveva fatto della semplicità e del rigore estetico il mezzo per trasmettere il proprio messaggio.

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Review date: 18 May 1978

As Freud, and a little later Groucho Marx, said, I wouldn't want to belong to any club that had someone like me as a member.

The scenes of conjugal life (it is a film by Ingmar Bergman that the protagonist is about to face, in one of the film's most exhilarating sequences) begin like this: with Woody Allen filmed face-on, addressing the audience, against a plain background.

It is the principle of confession: as in his previous works (especially in TAKE THE MONEY AND RUN, to which this ANNIE HALL is related) the protagonists wink at the spectator, establish a relationship of complicity with him. Woody or Diane Keaton talk to each other, while subtitles appear on the screen, transcribing the thought that passes through their minds at that moment. In the same way, the parents address the audience; or the screen splits into two parts (the split screen procedure) to show us the two families at the same time, her snobbish and conformist one, Woody's messy but full of humanity one. Again, here is the couple at the psychiatrist's at the same time: she recovers in a couple of sessions, he drags on for years. I've been going for fifteen years. I'll give myself one more, then I'll go to Lourdes.... .

Theoretically, very theoretically, ANNIE HALL is then the story of a marital failure, made even more effervescent by the fact that Allen and Keaton were in fact husband and wife. We have already discussed at length the intelligent and bursting comedy that the director has brought from the stage to the cinema: that of New York Jewish humour, that of the little man crushed by a world that wants to force him into a role greater than himself. To which, physically and intellectually, he constantly tries to conform. And Allen's verbal comedy seems incredibly creative, to the point that his gags are often wasted, crammed as they are into a small space. Disorder, alongside undoubted genius, has always been the hallmark of his cinema. Thus, especially from a formal point of view, his works have often been more than overlooked. ANNIE HALL still appears to be his best film to date, precisely because it is the least disordered in its construction: even if the visual effects are (still?) infinitely less corrosive than the spoken ones.

But it is a fact that his cinema must be seen starting from the word: and it is on that that everything else is articulated. What the comedian should probably try to do (and in fact seems to succeed here for the first time) is to re-evaluate a form of simple, linear language, which disturbs the impetuosity of comic speech as little as possible. After all, Chaplin too had made simplicity and aesthetic rigour the means of conveying his message...

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