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AL DI LÀ DEL BENE E DEL MALE Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 9 febbraio 1978
 
di Liliana Cavani, con Dominique Sanda, Erland Josephson, Robert Powell, Virna Lisi, Philippe Leroy (Italia, 1977)
 
Liliana Cavani durante le riprese di uno dei suoi molti film
AL DI LÀ DEL BENE E DEL MALE, l'ultimo film della regista di PORTIERE DI NOTTE, s'ispira alla vita di Lou Salornè, figlia di un generale russo, nata nel 1861 a San Petersbourg, morta in Germania nel 1937. Celebre, in vita, per la sua condotta del tutto priva di inibizioni, almeno per quei tempi e, più che per ì suoi scritti, per le sue amicizie e amori con alcune fra le più grandi personalità del nostro secolo: Nietzsche, Freud, Rìlke. Della vita assai eccezionale di Lou Salomé, Liliana Cavani non ha riportato che una parte: quella di un suo tentativo, in età giovanile, di instaurare un "ménage à trois" con Njetzsche ed un suo giovane discepolo e amico, Paul Rée.

AL DI LÀ DEL BENE E DEL MALE è un film che merita spazio. Perché se ne è parlato in tutte le salse, solitamente a torto, sui giornali popolari e su quelli specializzati. È un film che si vorrebbe difendere, perché tutti, o quasi, ne hanno parlato male. E ne hanno parlato male perché è un'opera che disturba. Disturba, innanzitutto, il fatto che, forse per la prima volta su uno schermo, una donna osi parlare dei fantasmi che appartengono agli uomini. AL DI LÀ DEL BENE E DEL MALE è assai più un film su Lou Salomé che su Nietzsche. È lei il perno dell'azione, suo lo sguardo posato sul mondo che la circonda. Liliana Cavani non ha voluto, ovviamente, fare un film su Nietzsche, ma un film ispirato da Nietzsche. E Lou Salomé, infatti, è l'incarnazione dell'ideale nietzschiano: quella che ai nostri occhi può apparire soltanto come una pura e semplice "allumeuse" (ma non è già questo un limite del film?), è probabilmente apparsa a quelli del celebre filosofo, come l'incarnazione sublime dei propri ideali. Una specie di "superuomo" bisessuale, che ha raggiunto un proprio equilibrio esistenziale e sessuale al disopra delle regole, delle convenzioni e delle ipocrisie della società. E cosi la Santa Trinità invocata dal filosofo, è l'aspirazione al raggiungimento di una dimensione esistenziale perfetta, al disopra delle nozioni del Bene e del Male; piuttosto che un accomodamento di natura sessuale. Disturba quindi il fatto che una donna ci parli di tutto questo, e ci mostri due uomini del tutto impotenti a seguire il tracciato indicato da una donna. Disturba, naturalmente, il fatto che uno dei protagonisti sia Nietzsche: che sia mostrato mentre entra in una vasca da bagno con gli altri due; o che chieda alla Lou di orinare in un vaso di fiori.

Si è detto, ad esempio, che il film sarebbe stato un onesto tentativo di analisi se i protagonisti fossero stati uomini, e non al contrario delle celebrità. Tutto questo, cinematograficamente, è una pura sciocchezza. Nietzsche o non Nietzsche, se AL DI LÀ DEL BENE E DEL MALE è un film che scontenta tutti è solo per un fatto: quello di essere scritto in modo mediocre. Il guaio, con il cinema, è che si è ancora rimasti all'età della pietra: che consiste nel giudicare un film a partire dalla "storia". Liliana Cavani, e la sua opera precedente lo aveva già dimostrato, è soltanto capace di scegliere dei soggetti più o meno stimolanti. Ma quando si tratta di svolgerli, tutto il suo talento si esaurisce in qualche pezzo di atmosfera (l'albergo di PORTIERE DI NOTTE, il bosco sotto la neve o la Venezia di qui). Il resto è di una confusione stilistica, di una elementarità di costruzione (sia nel montaggio, che nella scelta delle inquadrature, che nei dialoghi) desolante. Un cinema che occhieggia le atmosfere dì Visconti, ma che non possiede nemmeno il potere di seduzione di quelle di un Ken Russel. Tutto è raccontato, spiegato. Sia dalle immagini che dai dialoghi. Nulla è lasciato all'intuizione dello spettatore, quell'intuizione che solo il vero sguardo cinematografico, quello genuino, può provocare.

Tutti gli equivoci. le discussioni che sono nate fra cinefili, letterati o filosofi su questo film, non sono dovute ad una sua fertilità dialettica. Ma solo al fatto di essere il risultato di un film nel quale la confusione stilistica porta alla confusione ideologica totale. Com'è del tutto naturale. Perché degli argomenti che toccano la sfera dell'omosessualità, della bisessualità, o della sessualità in breve, ci appaiono artificiosi fino al limite del voyeurismo e della volgarità (o della noia...) nei film della Cavani? Mentre in quelli di Visconti ci portano direttamente ai drammi più antichi degli individui, alle sofferenze più eterne, ai cammini più elevati dell'arte? Soltanto per un fatto di scrittura. Il cinema non è altro che uno sguardo posato sul mondo che ci circonda. Quello di Visconti, dietro alla stesura pura e semplice della "storia" è di una limpidezza, di una logica che è frutto di un lungo processo di epurazione e di studio espressivo. Quello della Cavani, (sempre dietro ai risvolti di una vicenda proposta, io penso, in buona fede), è quello del disordine, dell'ambiguità espressiva. Che, immediatamente, si traduce in un disordine, in una ambiguità di significati. E questo, lo spettatore lo nota, e come.


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