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NOVECENTO (PARTE SECONDA) Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 2 dicembre 1976
 
di Bernardo Bertolucci, con Gérard Depardieu, Robert De Niro, Burt Lancaster, Sterling Hayden, Laura Betti, Stefania Sandrelli, Dominique Sanda, Donald Sutherland, Romolo Valli, Alida Valli, Stefania Casini, Francesca Bertini, Paulo Branco (Italia, 1976)
 
Rifiutiamo innanzitutto questa definizione di “parte seconda”. NOVECENTO è stato spaccato in due dai produttori. Risultato: si sente dire che è meno “bella” della prima, che la violenza è eccessiva e magari compiaciuta, che il finale è didatticamente propagandistico, che il tutto è schematico, con i cattivi da una parte ed i bravi dall'altra, che il fascismo era un'altra cosa del Sutherland che spacca la testa ai bambini. Crediamo che tutto questo provenga da un fatto: nel film, Bertolucci fa convivere (miracolosamente) due modi di vedere il mondo. Quello naturalistico, la descrizione della realtà, la visione grandiosa e solenne della natura e dei riti ancestrali. E, quando si tratta di descrivere il livello individuale, una visione favolistica, fantastica.

In generale si accetta il primo dei due modi: perché anche un cieco si accorgerebbe che l'attaccamento alla terra del cinema di Bertolucci è di un lirismo, di una verità, di un emozione rara. Quando si passa al simbolo, all'accentuazione fantastica di un momento o di un individuo, cristallizzare un tutto, ecco che lo spettatore rifiuta l'accostamento.

Lo abbiamo già detto parlando della prima parte: Bertolucci ha voluto fare un film popolare, un film di propaganda,usare un linguaggio tradizionale, mostrare i contadini emiliani e la loro lotta di emancipazione in questo secolo, l'evoluzione del padrone e del contadino che vivono uno accanto all'altro.

E' un film che accetta le regole del sistema, per raggiungere con il suo linguaggio una grande platea. Contiene dei momenti di stanca, forse inevitabili per portare innanzi un racconto di cinque ore (un esempio: la Betti che rifiuta la chiave della cantina alla Sanda, episodietto da filmone americano). Ma va visto come successione di grandi momenti, e la seconda parte ne è piena, altrettanto della prima. Si critica la scena del bambino, ma la violenza di questa serve a caricare la straordinaria sequenza che segue. L'immobilità incredibile di Alfredo mentre le camicie nere stanno linciando Olmo. E' uno dei momenti-fulcro del racconto: il padrone, per liberale che sia, rimane il padrone. Ed il fascismo si serve di lui. Subdolamente, inesorabilmente, Alfredo è risucchiato dal sistema. E' il distacco netto, non solo di una amicizia, ma di una ideologia secolare.

Schematismo? Ma Bertolucci non fa un dizionarietto di storia: in una stanza, il giorno del matrimonio, mette i signori che pranzano. Nell'altra, separata da una parete, i contadini. Tra il nero ed il bianco sta il grigio, certo. Ma tra due mondi c'è un muro, netto.

Personaggi come Alfredo, Olmo, Attila, Regina, Ada, lo zio sono emblematici. Le loro reazioni non vanno viste con l'occhio realista, ma come una proiezione fantastica e simbolica di una situazione più ampia, nel tempo e nello spazio. Ada che galoppa su un cavallo bianco mentre Attila sodomizza un bimbo, Alfredo che (parafrasando il Renoir al quale Bertolucci si riferisce costantemente in NOVECENTO) rimanda tutti a casa “perché la festa è finita” non possono essere visti che con l'occhio della favola poetica. Al servizio di un cinema positivamente politico. Attila è il simbolo di una violenza (morale proprio perché rappresentata cosi fisicamente) tipicamente fascista, Alfredo di un compromesso tipicamente borghese, Olmo di una idealizzazione progressista, Ada e lo zio di una lucidità di percezione che solo può avere chi viene “dal di fuori”.

Il personaggio di Dominique Sanda è tra le cose più belle di tutta l'opera, e domina tutta la seconda parte, assieme all'involuzione morale di De Niro. Nella fragile ma al tempo stesso incorruttibile percezione di Ada si è condensata tutta l'emozione del regista, la sua partecipazione, la sua indignazione e la sua pietà. Il finale del film mi sembra perfetto, per una storia che non è certamente finita, né allora, nè oggi. Le bandiere rosse sventolano, le contadine stanno sui carri di fieno a scrutare il futuro, e Olmi dopo aver scaricato i fucili (altra sequenza memorabile) invita i contadini a rimettere le armi, e a ritornare alla terra. “ E' stata come una sbornia” dirà. Come dice Bertolucci: “ho fatto una scelta, se fare una scelta è sbagliato, allora ho fatto un film sbagliato”.


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