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MARCIA TRIONFALE Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 27 gennaio 1977
 
di Marco Bellocchio, con Franco Nero, Miou-Miou, Michele Placido, Nino Bergamini, Patrick Dewaere, Alessandro Haber (Italia, 1976)
 

Le vie del cinema dei soldi sono infinite. Per più di mezz'ora MARCIA TRIONFALE viaggia sulle ali della logica, della riflessione, del talento indubbio di Bellocchio. S'incammina sulla strada de IN NOME DEL PADRE, il capolavoro del regista. In quel film, il mondo della scuola, della formazione dell'adolescenza, era visto con una prospettiva sapiente: microcosmo allucinante, osservata con una crudeltà espressiva utilissima, con una magnificazione degli effetti coerentemente e giustificatamene controllata. IN NOME DEL PADRE ci diceva che già tra le ragazzate del collegio, tra la presunta spensieratezza degli anni felici, tra la disciplina “formativa” degli insegnanti, tra le strutture di un mondo apparentemente non ancora determinante sono presenti quelle leggi inesorabili, quelle strutture, quelle ingiustizie e ipocrisie che segneranno inesorabilmente il destino dell'individuo nel mondo adulto. L'ipocrisia di un religioso, o la crudeltà di una differenza sociale, assumono ne IN NOME DEL PADRE una forza espressiva e quindi morale così potente, proprio perché amplificate dal rapporto temporale che lo spettatore stabilisce. Se le cose stanno così a dieci anni, figuriamoci a venti…


MARCIA TRIONFALE, dicevo, parte così. Non è più la scuola, qui, ma l'apprendistato militare. Ma il disco e sempre, ovviamente quello.


I falsi valori, la spersonalizzazione, la disciplina, l'obbedienza dogmatica, l'umiliazione imposti all'individuo, affinché diventi “adulto”. Adulto come inquadrato, obbediente, non pensante, sottomesso, piegato alle leggi di evoluzione storica e sociale che altri hanno preparato per lui e per quelli che verranno dopo di lui.


Mezz'ora di critica violenta (fin troppo, a dire il vero, magari un briciolo di misura non guasterebbe) ed il discorso va via filato. Poi le ambizioni di Bellocchio (solo quelle?) aumentano: dal rapporto ufficiale-fascistoide a recluta-progressivamente-plagiata, si passa ai rapporti privati dell'ufficiale (Franco Nero) con la moglie particolarmente “mal baisée”, come dicono i francesi: per indicarci, in breve, che fascisti non lo si è soltanto come etichetta politica, o come immagine tradizionale nel mondo militare, ma nei rapporti più intimi con il prossimo, vedi quelli sessuali, Wilhelm Reich insegna.


E anche questa svolta del film andrebbe bene: qui, uno si dice, il discorso si amplia, e diventa veramente nuovo e stimolante.


Sennnonché portare avanti discorsi, in luoghi diversi e con personaggi diversi non è così facile (a meno di chiamarsi Altman, in NASHVILLE). Ed il film diventa di una confusione clamorosa. Diventa anche clamoroso per volgarità, per inutilità (il personaggio dell'amante perverso e cinico, che si proietta i filmini pornografici) per compiacenza. Rifiuto di credere che un cineasta del talento e dell'acume di Bellocchio si perda per strada in quel modo per pura incompetenza. Ma per vizio (imposto o liberamente assunto, che ne so) e tentazioni commerciali, piuttosto. MARCIA TRIONFALE diventa così un film inficiato di sottintesi voyeuristici, inutile che ve li elenchi, perché sono i soliti.


Cosa aggiungere, oltre al rincrescimento per l'occasione persa? Che di tanta confusione esce, quasi controvoglia, un bel personaggio femminile: quello della moglie, non particolarmente ossequiata in sede di sceneggiatura, che alla fine fa fagotto se ne va. Finalmente adulta e consapevole, in un mondo di poveracci. E che, come sempre, quando si concede formalmente anche l'ideologia si corrompe: tanto che alla fine, quando Franco Nero si fa praticamente uccidere, uno dice, ma si poveraccio, in fondo aveva anche lui i suoi problemi, e magari non aveva torto neanche lui. Ma allora, Marco Bellocchio, che razza di film antifascista hai voluto fare?


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