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IL MARATONETA
(MARATHON MAN)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 23 dicembre 1976
 
di John Schlesinger, con Dustin Hoffman, Laurence Olivier, Roy Scheider, Marthe Keller, William Devane (Stati Uniti, 1976)
Una delle grosse bombe USA dell'anno. Schlesinger è inglese: ed i suoi film migliori sono quelli fatti in Inghilterra, i primi. A KIND OF LIVING, BiILLY LIAR, DARLING (con Julie Christy, indimenticabile) e, nel '71, il migliore fra i suoi più celebri, DOMENICA, MALEDETTA DOMENICA, opera di bella ambientazione, soprattutto dominata dall'interpretazione di Peter Finch e di Glenda Jackson.

La sua prima opera negli Stati Uniti è UN UOMO DA MARCIAPIEDE: incontro con Dustin Hoffman, immenso successo di critica e pubblico, entusiasmo che siamo lungi dal condividere. Gran mestiere, strizzatine d'occhio al gusto del pubblico, gioco caricatissimo degli attori, ritornello "pop" orecchiabile, ecc. Segue il pomposo IL GIORNO DELLA LOCUSTA, presentato a Cannes due anni fa: affresco ambiziosissimo degli anni trenta ad Hollywood, un film freddo ed accademico, abile certo, ma di smisurato effetto.

IL MARATONETA parte come i migliori Schlesinger, e finisce come al solito. Una storia di ex-nazisti trafficanti di diamanti, di ebrei e di maccartismo serve al regista non solo per creare un film di spionaggio e di avventura, ma per appoggiarlo su una tela di politica ed etica. Questa gente che si fa fuori per i diamanti, questa "super-CIA" che tira i fili internazionali, questo Dustin Hoffman che studia storia con il pensiero rivolto al padre, vittima dell'oscurantismo maccartista degli anni cinquanta, vorrebbe, nelle intenzioni del regista, far uscire lo spettatore con nella mente che il nazismo non è una etichetta storica. Ma che ce lo ritroviamo nelle varie degenerazioni che ci circondano ancora oggi: la cupidigia, la violenza, gli interessi sovrannazionali che guidano il mondo.

Tutto vero e bello, ma che dipende dal modo con il quale lo si dipinge. Nella prima parte ritroviamo i pregi innegabili del talento di Schlesinger: la sensibilità nel dipingere gli ambienti (le strade di Nuova York, l'appartamento dello studente), d'incontrarsi emotivamente con un personaggio (Hoffman), il taglio abile e veloce delle immagini, la direzione d'attori, la sceneggiatura che è abile nell'invischiare poco a poco il protagonista in una faccenda che, apparentemente, non lo riguarda.

Poi, i guai, e non solo per Dustin Hoffman. L'interesse del film si fa allora uno solo: osservare come un cineasta di talento è progressivamente ucciso dall'apparato commerciale del cinema. Come i soldi, la preoccupazione di farne, annulli tutte le buone intenzioni. IL MARATONETA diventa in breve un classico James Bond, con gli eccessi che sappiamo. Non solo: ma anche come James Bond, il film diventa inverosimile, se non incomprensibile. Il comportamento di Hoffman (quando aspetta nella casa di campagna la banda di assassini, per esempio, invece che darsela a gambe) o quello di Laurence Olivier (quando gira per i negozi di brillanti) sono del tutto risibili, nella loro illogicità. Schlesinger parte facendo della pittura intimista e realista: poi vuol arrivare (chi lo sa?) al fantastico. E invece rimane ancorato ad una descrizione realista: per cui le inverosomiglianze diventano veramente spassose.

Schlesinger dice di aver voluto fare un film per i giovani, un film di denuncia ideologica. Il guaio di opere come questa è che, per il fatto di essere così condizionate dal sistema commerciale che le ha create, si rivoltano nelle mani dell'autore. Certo, con Schlesinger possiamo dire che il nazismo esiste sempre: ma più che nelle storielle fumettistiche che ci raccontano, siamo purtroppo portati a riconoscerlo in quel processo di degenerazione delle finalità del film. Laurence Olivier, alla fine, si mangia i diamanti, oggetto della propria corruzione. Ma, intanto, il film, come doveva essere, si è mangiato da solo. O, meglio, se lo è mangiato il sistema.


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