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NEL CORSO DEL TEMPO
(IM LAUF DER ZEIT)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 5 ottobre 1978
 
di Wim Wenders, con Rüdiger Vogler, Hans Zischler, Lisa Kreuzer (Germania, 1975)
 
(APPARSO ALL'ORIGINE SU AZIONE DEL 5 OTTOBRE 1978)

Wim Wenders è un cineasta del nostro tempo, un regista per il quale fare del cinema significa anche (o soprattutto) riflettere su cosa significhi oggi fare del cinema. Come i maggiori autori contemporanei di quel cinema americano al quale egli costantemente si riferisce, Wenders sembra osservare il proprio lavoro dall'esterno. Un'analisi del proprio strumento di lavoro, del proprio metodo di lavoro è per lui altrettanto importante della storia o dei personaggi che ci racconta. Ecco quindi che IM LAUF DER ZEIT (NEL CORSO DEL TEMPO) è innanzitutto un film sul cinema.

FALSCHE BEWEGUNG, il film precedente, girato nel '74, terminava con una inquadratura vista in una cinepresa da dilettante. In PRIMA DEL CALCIO DI RIGORE (1971) il protagonista vede diversi film, veri o immaginari. Qui in IM LAUF DER ZEIT uno dei due protagonisti percorre la provincia tedesca degli anni Settanta per riparare i proiettori delle vecchie sale cinematografiche di campagna. Per una buona parte del film lo seguiremo mentre con amore e applicazione smonta le rotelle dei meccanismi, fino a giungere al cuore dell'obiettivo, all'intimo dell'ingranaggio. Là dove nasce la fascinazione, il potere del mezzo, la magia e la fine delle illusioni. Perché cinema, come ognuno sa, significa più di ogni altra forma artistica, rifugio nelle illusioni, nel fantastico. Ventiquattro fotogrammi al secondo di celluloide che sono alla base del sogno, della vita.

IM LAUF DER ZEIT è un viaggio per le strade tedesche, il tentativo di fuga, di evasione della realtà attraverso il sogno migratorio come gli americani, da Kerouac a EASY RIDER hanno esemplarmente magnificato. Wenders, con tutto il suo amore per quel cinema, fa di tutto per sottolinearlo: dalla musica alla scelta degli attori, tutto ci riporta costantemente alle atmosfere delL' on the road americano. Ma il cinema di Wenders va molto più lontano del classico omaggio da frequentatore di cineteche. Nato sull'idea di un itinerario da seguire, di sala in sala, il film non è basato su una sceneggiatura tradizionale. Scritto di notte e improvvisato con gli attori l'indomani mattina, diventa un affresco esistenziale, ma anche politico e sociale della Germania di oggi. Girato da un autore molto più sensibile alle emozioni, alle atmosfere ed alle situazioni che non ai dialoghi o alla meccanica del racconto, il film diventa naturalmente un frammento assai straordinario di libera improvvisazione, nel quale i personaggi e gli ambienti emergono con una originalità, una naturalezza ed una verità incantevoli.

Impossibile da raccontare, perché non vi succede nulla se non un tentativo di amicizia tra due uomini: ma l'eco dei suoi personaggi e della sua atmosfera rimane a lungo nella memoria. Si potrebbe parlare a lungo dell'uso sensibilissimo della fotografia in bianco e nero o della musica, della grande resa degli attori, della giustezza impeccabile dei dialoghi. E anche dell'arguzia, dell' humour fine e fertilissimo delle situazioni. Più utile ci sembra ritornare ancora su come il film sappia far esplodere la realtà osservata, la materia analizzata, per proiettarne i frammenti in mille direzioni significanti. Film sul film, si è detto. Meditazione di come, attraverso il cinema, si possa sfuggire alla realtà (allo stesso modo con il quale si sfugge sulle strade coi mezzi di locomozione, costante di tutta l'opera di Wenders), di come si possa raggiungere l'ebbrezza provocata da quella liberazione. Ma anche meditazione sull'angoscia provocata dall'illusione di quella fuga.

C'è una splendida sequenza finale, con la quale Wenders conclude e spiega il proprio percorso. Quando uno dei due protagonisti abbandona l'altro, abbandona il viaggio, le illusioni, la magia del sogno impossibile, incontra un bambino che, appoggiato al muro di una stazioncina ferroviaria, scrive in un quaderno. Descrivo quello che vedo, gli dice il bambino. Un prato, una casa, le rotaie, un uomo che mi interroga. Attraverso lo sguardo più puro, meno filtrato, del bambino, il regista ritorna alla realtà. E' l'abbandono del mito, del fantastico. Il confronto con la realtà. Il viaggio nella finzione cinematografica, maestra di ogni illusione, è terminato.


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