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IL MIO UOMO E' UN SELVAGGIO
(LE SAUVAGE)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 20 novembre 1977
 
di Jean-Paul Rappeneau, con Yves Montand, Catherine Deneuve, Luigi Vannucchi, Tony Roberts, Dana Wynter (Francia, 1975)
La reazione nei confronti di un film come questo può essere di due tipi. Una, quella di rallegrarsi: si tratta pur sempre di un buon prodotto, due attori che danno fondo al loro miglior mestiere, un regista non privo di buon gusto e ambizioni, soldi a sufficienza per andare a girare in Venezuela con tutto il tempo necessario a disposizione, tecnici e finissaggio di prim'ordine. Di cinema cosi, non volgare, non completamente venduto ai gusti più deleteri del pubblico, non privo di idee di base, non mal confezionato e recitato, ne troviamo sempre più in circolazione. Perché il mestiere si affina, la ricerca mercato per sfornare il prodotto diventa sempre più accurata man mano che le esigenze, e le difficoltà, di smerciarlo aumentano. Cinema del genere è quello che fanno in Italia, tanto per fare dei nomi, Lina Wertmüller o Damiani nei loro momenti peggiori; e Salce o Festa Campanile nei migliori. O, negli Stati Uniti qualcuno come Michael Winner. O, in Francia, De Broca, Boisset, Rappenau. E' Il genere di cinema che i proprietari di sale cinematografiche prediligono: fanno pensare il pubblico ma non troppo; divertono abbastanza da far preferire il cinema a Mike Bongiorno, conferiscono alla sala un certo qual tono dignitoso.

La seconda reazione è quella dello scoramento. Perché questo cinema, né carne né pesce, né bello né orribile, né intelligente né sciocco è soprattutto il cinema delle occasioni perdute, dei talenti buttati al mare, dei soldi sprecati. Che bisogno c'era di andare a Caracas, e poi su una meravigliosa isola deserta, per girare LE SAUVAGE? Quando L'atmosfera "stimolante" della capitale sud-americana non è stata captata per nulla (si vedono solo delle autostrade cittadine, e degli inseguimenti automobilistici che si potevano girare benissimo anche a Marsiglia, andandoci in treno e in seconda classe); e quando l'atmosfera dell'isola ci è restituita come quella di una spiaggia qualsiasi del Club Méditérranée con l'aggiunta di qualche pianta più o meno tropicale sullo sfondo? Che bisogno c'è di impegnare il film con una storia che si vorrebbe di meditazione sulla società contemporanea (l'evasione dalle costrizioni capitalistiche, l'incontro con la natura, l'uomo solo con sé stesso) se poi la si trasforma velocemente in una storiella di amore più che scontata, o le si aggiunge un finale posticcio, incredibilmente caramelloso e mal fatto, per terminare con "l'happy end"?

Film come questi, sentimentali, ben recitati e preparati, li giravano già trenta o quarant'anni fa (!) maestri della commedia cinematografica. Ma con ben altra precisione, con ben altro ritmo ed inventiva (qui del tutto assenti), e con ben altra giustificazione storica e morale.


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