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AMARCORD Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 1 giugno 1974
 
di Federico Fellini, con Bruno Zanin, Pupella Maggio, Armando Brancia, Stefano Proietti, Giuseppe Janigro, Gianfilippo Carcano, Ciccio Ingrassia, Magali Noël, Nando Orfei, Alvaro Vitali (Italia, 1973)
Imprevedibile ed incostante quanto geniale, capace di ridare le atmosfere più magiche che questa arte magica sappia offrire: accanto ad altre immagini, supponenti o perlomeno decadenti. Passare da un OTTO E MEZZO a una GIULIETTA DEGLI SPIRITI o anche ad un SATYRICON dove il talento immenso è sciupato in una altrettanto immensa grandiloquenza espressiva. Qui, Federico Fellini ritrova finalmente la grazia perfetta. Nell'incontro con i momenti che sono più congeniale alla propria arte, il ricordo a sfondo autobiografico che si sposta, fino a confondersi, con il fantastico, la favola, il senso dell'affresco popolare egli sembra epurare, di un solo tratto, tutta la zavorra così fastidiosa del simbolismo e del manierismo che avevano appesantito la sua arte negli ultimi anni.

Già in ROMA il regista aveva ritrovato alcuni di questi momenti. Accanto a sequenze discutibili (la contestazione in piazza, la sfilata degli ecclesiastici) Fellini ricordava, proprio come dice il titolo di questo ultimo film. Ed inventava: con l'ebbrezza dell'artista che ritrovava la facilità, la naturalezza istintiva dell'ispirazione. Questa naturalezza, questa grazia totale, Fellini la possiede perfettamente e totalmente in AMARCORD, il suo film più alto da molti anni, ed uno dei suoi capolavori.

Gli anni trenta in una borgata romagnola: il regista non si limita a dipingere i personaggi con giustezza e delicatezza perfetta, a ricreare sapientemente quel miscuglio di follia e di dramma incipiente che marca in modo indelebile l'atmosfera di quei anni. Costantemente in equilibrio fra il ricordo reso realisticamente, e la proiezione fantastica di quel ricordo, riesce ad andare oltre il grande affresco popolare. I suoi personaggi (si pensi al motociclista fantasma che invade a tratti lo schermo, al fisarmonicista disarticolato) o le situazioni (l'affascinante sequenza dell'apparizione del “Rex”, i fascisti e le loro gesta, mostrate senza rabbia clamorosa, ma con un disprezzo sottile, una satira che non pecca mai di indulgenza) assumono un aspetto premonitore. Inseriscono l'opera in una dimensione storica che ne moltiplica i significati.

Senza attori celebri (anche se, occorre dirlo, il suo è il solo nome di regista che fa accorrere le masse), il film di Fellini riesce a riempire le sale e ad avvincere le folle. Forse ancor più della perfezione artistica del suo affresco (sapientemente inserito nel tempo, nel trascorrere delle stagioni; puntualmente scandito dal commento del “testimonio”, il professore bandito dal paese; esempio tipico dell'impiego cinematografico del piano- sequenza) è proprio questa partecipazione popolare della platea, lontana dalle sollecitazioni del richiamo volgare e ignorante del divismo e delle sue regole commerciali, la prova della verità e della compiutezza di AMARCORD.


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