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IL LUNGO ADDIO
(THE LONG GOODBYE)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 3 aprile 1975
 
di Robert Altman, con Elliot Gould, Nina Van Pallandt, Sterling Hayden (Stati Uniti, 1973)
 

Con quattro immagini (l'investigatore privato risvegliato dal gatto affamato) il Raymond Chandler di Altman ridimensiona crudelmente quello di Polansky di CHINATOWN. Due modi di vedere il mondo affascinante del maestro della letteratura gialla americana, Raymond Chandler. Polansky non credendoci, ma facendo di tutto per esprimere il contrario. Grande mestiere, fedeltà assoluta, un'illustrazione in definitiva assai sterile. Con cinque minuti finali per ricordarci di essere anche un grande regista.


Altman ci crede, e fa di tutto per esprimere il contrario. Come in tutte le sue notevoli opere precedenti (western, film di guerra, film psicoanalitico, film fantastico) il suo è un processo di demitizzazione di rara intelligenza. Dall'interno delle sue opere, costruite tutte con rara perfezione formale fa esplodere le formule, rovescia i valori, rimette in questione le regole. Una revisione critica che Altman ottiene grazie ad una padronanza del linguaggio cinematografico difficilmente eguagliabile. Elliot Gould, straordinario in una California altrettanto straordinaria, ridimensione crudelmente l'interpretazione assai pubblicizzata di Jack Nicholson in Chinatown.


Anche se i paragoni sono sempre relativi, le intenzioni e gli stili diversi. Se Altman è uno dei grandi registi americani di oggi, non è perché ha riscritto con una bravura infinita, una sapienza nel creare una atmosfera inimitabile una pagina di Chandler o della grande tradizione del film poliziesco. Anzi Il suo Philip Marlowe è, come tutti i protagonisti delle sue opere, un anti-eroe melanconico. Come in McCABE & MRS.MILLER smontava il meccanismo del western, in BREWSTER MC.CLOUD quello della commedia burlesca, in IMAGES quello del film psicoanalitico, qui è la volta del film giallo. Come gli altri grandi contemporanei, Pollack o Boorman ad esempio, egli rivede il cinema americano demitizzando i valori che hanno creato quella scuola.


Grazie ad una padronanza incredibile del linguaggio (il suo lavoro, e quello del grande direttore della fotografia Vilmos Zsigmond è meraviglioso a tutti i livelli creativi) riesce a distaccarsi dalle regole del genere, ad osservare, ironizzare, demolire all'interno del racconto, i luoghi comuni, i punti deboli, le regole che si volevamo immutabili. Districandosi, in questo gioco sottile, difficile, praticato sugli elementi più intimi e delicati, con una abilità che lascia stupefatti, con una intelligenza affascinante.


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