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FILM D'AMORE E D'ANARCHIA Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 8 novembre 1973
 
di Lina Wertmüller, con Giancarlo Giannini, Mariangela Melato, Lina Polito, Eros Pagni, Giuliana Calandra, Anna Bonaiuto (Italia, 1973)
Un film contraddittorio nel quale, curiosamente, i fattori positivi, per il modo con il quale sono usati, finiscono per ritorcersi a danno dell'opera e costituirne gli aspetti negativi. FILM D'AMORE E D'ANARCHIA dovrebbe quindi essere condannato, per, cattivo uso di buone intenzioni; eppure c'è più' di un aspetto simpatico nel film, per cui si è pronti a perdonare molte cose.

La vicenda di questo contadino proiettato nella Roma degli anni dell'ascesa di Mussolini, anarchico non per vocazione politica ma per una istintiva ricerca della verità, vanta un fascino indubbio. E, nei suoi momenti migliori, assume l'aspetto di una riflessione sensibile sulla condizione dell'individuo più semplice nei confronti della macchina del potere; e del dovere di ribellione nei confronti della coercizione, fisica ma prima ancora morale.

Anche far passare questa strada faticosa dell'umile rivolta, attraverso quell'altra, per tanti aspetti simile, del bordello, era una idea fertile di prospettive. E così, già che siamo agli aspetti positivi dei film della Wertmuller, diciamo della sua cultura descrittiva, della sapienza nella scelta degli ambienti (anche negli esterni, si pensi alla piazza dove il duce deve pronunciare il discorso), all'uso di un linguaggio volutamente aggressivo e, se vogliamo, rivoluzionario nella sua volgarità, alla direzione degli attori che centrano con evidente bravura la psicologia dei protagonisti. Quello che manca alla regista è invece il senso della misura. 0 quel potere di distacco emotivo dal racconto che costituisce il segreto per una composizione che dell'arte abbia l'equilibrio e l'armonia. Tutto, nel film, è «troppo»: e poiché rifiuto di pensare che questo sia il risultato di un preciso calcolo mentale, destinato ad arte ad esasperare lo spettatore, bisogna concludere che di errori di misura si tratti. Le sequenze, interminabili, girate nel bordello sono, l'abbiamo detto, colte e sensibili. Ma risentono insopportabilmente dell'influenza di Fellini (del quale la regista è stata assistente, in OTTO E MEZZO) fino a diventare accademicamente compiaciute, fini a loro stesse. Episodi marginali (come la morte del cliente della casa) diventano pretesto per giochetti figurativi e simbolici nel Foro romano; sequenze importanti come l'amore tra il protagonista e la giovane prostituta sono dimensionati in eccesso, personaggi marginali ma essenziali come il gerarca fascista diventano pure macchiette per eccessi di caratterizzazione. E così, malgrado la bravura indubbia della Melato e di Giannini, anche le due figure dei protagonisti, che pure non mancano di una loro nobiltà, arrischiano di cadere a tratti nel bozzetto, nei limiti della creazione macchiettistica.

Una bella occasione in gran parte sciupata: non per nulla a Cannes è stato descritto come una speculazione indegna di far passare un messaggio politico attraverso il voyeurismo più evidente dello spettatore.


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