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LA CLASSE OPERAIA VA IN PARADISO Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 8 aprile 1972
 
di Elio Petri, con Gian Maria Volonté, Mariangela Melato, Mietta Albertini, Salvo Randone (Italia, 1972)
 
Sulla strada del cinema d'impegno sociale e politico la coppia Petri-Volonté compie ancora una volta un importante passo. Se, per quanto riguarda l'attore, il film non è che un'altra conferma delle sue precise prese di posizioni, artistiche e politiche, che lo pongono in una situazione di assoluto predominio in Italia (quale altro attore,o attrice, possiede una così marcata individualità artistica e morale?), per Petri il discorso è diverso.

Petri è un registra d'ispirazione stilistica americana, che ha fatto per anni dei polizieschi e dei film più o meno commerciali molto ben fatti e che, progressivamente, si è messo a spogliare il proprio discorso dagli elementi decorativi alla ricerca di un messaggio, come si dice, più efficace. Solo due o tre anni fa egli firmava UN TRANQUILLO POSTO DI CAMPAGNA nel quale Franco Nero era un pittore di successo che, in preda ad una profonda crisi esistenziale, piantava tutto per andarsene in campagna: a parte il richiamo al personaggio-crisi, che ritroviamo oggi, ed ai temi relativi che erano tutt'altro che disprezzabili, Petri si perdeva ancora nel labirinto del divertimento commerciale. E la seconda parte del film diventava uno degli innumerevoli prodotti di vaga ispirazione hitchcockiana.

Poi, INDAGINE SU UN CITTADINO AL DI SOPRA DI OGNI SOSPETTO: qui, forse anche per l'incontro con Volonté, la volontà dell'autore diventa tutt'altra: denunciare, esasperare le coscienze più o meno addormentate degli spettatori. Se l'elemento spettacolare è nelle sequenze dell'appartamento della Bolkan, che costituiscono un ottimo contrasto stilistico con quelle della pretura e che quindi si giustificano perfettamente nel significato dell'opera, si distingue progressivamente un tono del discorso, sia a livello dell'immagine che a quello del dialogo. Un desiderio di tener viva l'attenzione del pubblico anche meno attento, con dei richiami spettacolari ai quali questo pubblico è abituato, e senza i quali rischierebbe di assentarsi. Questo aspetto del cinema di Petri sembra scomparso in LA CLASSE OPERAIA VA IN PARADISO, forse non completamente, ma in modo determinante. E la novità del film mi sembra essere proprio questa.

Non fosse per l'estrema verità del dialogo, la sua straordinaria vivacità che avvicina i personaggi al pubblico più vasto (ed è uno degli aspetti più grandi del film), il film concede sempre meno alla platea. Petri e Volonté portano avanti il loro discorso senza esitazioni, mirando al massimo dell'efficacia, tanto che a volte sembrano riapparire i ricordi del grande cinema rivoluzionario sovietico.

Qual è il risultato di questa evoluzione? Quello negativo, che è sicuramente il minore, sta nei limiti dell'opera d'arte di protesta, dove talora l'indignazione, il grido, la forza della violenza polemica arrischiano di far perdere quel difficile equilibrio che qualifica l'opera d'arte. Un certo schematismo (ad esempio i personaggi degli studenti) un certo ritorno disarticolato dei temi trattati nella costruzione della pellicola. Si sente il bisogno, a volte, di un istante di raccoglimento, di una riflessione pacata, di un momento durante il quale la visione si faccia più ampia, più serena. Un momento di contemplazione che permetta di uscire dal caos.

Ma, d'altra parte, anche i meriti del film vengono proprio da questa violenza che incalza, dalla pulizia polemica del discorso, dall'asciuttezza dello stile, dall'ardore che anima il regista e lo straordinario Volonté, tutte cose che costituiscono la forza dell'opera. Tutte cose che conferiscono al film una sua profonda dignità; e al cinema italiano del momento, un indiscutibile valore, attuale ed artistico, che è assolutamente assente in quello di altre cinematografie (basti pensare all'esempio, clamoroso, di quella francese). Anche se con qualche scompenso, che forse non permette ancora di dire che i film di Petri siano dei capolavori in senso assoluto, ma sulla traccia di un cammino evolutivo indiscutibile e chiarissimo. Un desiderio di avvicinare l'uomo e la sua realtà, il suo modo di vivere e di parlare, un desiderio di verità in quel cinema sociale che ha segnato molti degli istanti più significativi di tutte le scuole cinematografiche.


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