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IMAGES
(IMAGES)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 6 settembre 1973
 
di Robert Altman, con Susannah York, Marcel Bozzuffi, René Auberjonois (Stati Uniti, 1972)
 
A prescindere dal suo film più celebre (il primo: MASH) che mi era apparso perlomeno sospetto sul piano ideologico, il cinema di Robert Altman, attraverso opere come BREWSTER MC CLOUD ( ignorata, credo, dai nostri schermi), lo splendido JOHN MC CABE (I COMPARI con Warren Beatty e Julie Christy), ed ora IMAGES sta diventando uno dei momenti più raffinati e meravigliosi del cinema americano contemporaneo.

Sappiamo tutti come si debba diffidare, nel cinema, della fotografia “bella”. Dell'arte del grazioso e del decorativo: ma nei film di Altman solo a brevi tratti s'insinua il dubbio del decorativismo e del vizio del bello per il bello. In opere come JOHN MC CABE o questo IMAGES la straordinaria opera del direttore della fotografia, di una bellezza difficilmente eguagliabile, si inserisce nel significato dell'opera, nel tentativo di ricerca cinematografica del regista. Ne diventa parte integrante e significante: escluso allora il formalismo gratuito (alla Albicocco, alla Bolognini), IMAGES, che letto con intenzioni realistiche appare quasi del tutto incomprensibile (o meglio, si presta ad innumerevoli interpretazioni) è un film, come dice chiaramente il titolo, sull' “immagine”. Sul fascino, estetico ma anche psicologico, dell'immagine e del suo sdoppiamento. Sul fascino del mezzo che cattura l'immagine, l'obiettivo fotografico. IMAGES è quindi, innanzitutto, un film sul cinema: sul potere mistificatorio del linguaggio cinematografico, sul mistero (estetico, ma da qui anche ideologico) che questo linguaggio ricava dall'osservazione della realtà attraverso l'immagine.

Poco importa quindi sapere se la protagonista è folle (uno dei tanti significati probabili del film è anche l'eterno discorso sul significato della follia), se il marito è all'origine della propia nevrosi, se gli amanti precedenti esistono, sono esistiti o scompaiono.

E chiaro comunque che IMAGES è il trasferimento, in immagini appunto, dello sdoppiamento psicologico di una personalità. Altman, con una abilità eccezionale (che solo per brevi istanti tradisce il gusto estetizzante o l'eccessivo intellettualismo del procedimento) riesce a trasferire visivamente la proiezione di una mente. L'opera può essere letta a volontà, i riferimenti psicologici, e quelli linguistici sono infiniti. Lo spettatore ha abbondante facoltà di perdercisi.

Quello che non si deve dimenticare, per non smarrirsi nel dedalo dei significati reali, materiali, per i quali siamo obbligati dalle consuetudini a voler cercare delle risposte, è che il film è come il “puzzle” che Susannah York (eccellente) e la ragazzina non riescono a completare. Sono le mille immagini della realtà, i mille significati del tutto differenti a seconda del'angolazione dalla quale osserviamo questa realtà. Altman si è divertito ad osservare il meccanismo del “puzzle”, a giocare con le diverse prospettive: ma il suo non è soltanto un gioco inutile sull'illusione dello sguardo cinematografico. Il carattere di provvisorietà, di relatività di quello sguardo è quello stesso che regola la nostra vita, i nostri giudizi. E l'autore ci invita a diffidarne.


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