In effetti, il cinema di Herzog è una meditazione sulla condizione umana, sulla ragione di essere dell'uomo sul suo destino, sull'intervento della civiltà, sulla degenerazione dei processi che tramandano la cultura i valori, le aspirazioni della nostra società. In AGUIRRE, che Klaus Kinski, un'attore che aveva fatto quasi solo Dracula , traduce in modo portentoso, sotto la direzione di Herzog) non e soltanto un capitano di ventura megalomane, che conduce allo sbaglio un gruppo di avventurieri. E' il simbolo, la cristallizzazione nella vicenda narrata, la vanità umana della fede sciocca, o criminale nei principi della conquista materiale della sopraffazione nei confronti dell'ordine naturale.

Il film, che Herzog ci sbatte in faccia con una immediatezza spregiudicata, con la cinepresa a spalla che scruta i visi sulle zattere di un fiume tropicale in piena ha una parte centrale che vive di una sua staticità. Ma l'addio, con la lunga colonna degli indios e dei soldati spagnoli che si snoda per i sentieri andini è di una eloquenza espressiva indimenticabile. E la parte finale, la degenerazione di Aguirre, la zattera della deriva ripresa in un moto circolare sull'acqua, le scimmie che invadono il relitto riportandoci agli albori di una umanità illusa da una propria irrisoria evoluzione, è una pagina di cinema indimenticabile.

Il realismo “a braccio” di AGUIRRE serve al regista per raggiungere l'allegoria fantastica, non certo la descrizione naturalistica di una situazione. Traduce il sogno di ogni artista, evolvere dalla fisicità della materia per la spiritualità della ragione e del sogno.