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ADDIO ZIO TOM Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 9 marzo 1972
 
di Gualtiero Jacopetti, Franco Prosperi (Italia, 1971)
 
Jacopetti faceva, ai tempi di MONDO CANE, dei film falsi: dei documenti rari che proponevano, sotto le spoglie della verità (che il termine "documentario" lascia supporre) la mistificazione. Questa era più o meno evidente, ma non sfuggiva allo spettatore attento ai piccoli dettagli.

Ora Jacopetti ha cambiato sistema: non finge più di filmare la verità. Anche se al termine della pellicola una scritta ricorda che "questo film è un documentario, ed i fatti sono realmente accaduti", il tono del film è quello "di regia", ricreato, messo in scena. Tanto è vero che c'è un film nel film: un regista che intervista, i negri che guardano appositamente nell'obiettivo, le carrellate soggettive, eccetera. Ed i costumi ottocenteschi dello schiavismo.

Quella che rimane, invece, è la falsità, la mistificazione: perché è qualcosa di indelebile nelle immagini di Jacopetti. Ed è proprio in questo che consiste l'"interesse" del film: la speculazione rivoltante non sta tanto nella falsità dei dialoghi o dei propositi, che apparentemente denunciano l'ingiustizia ed il male. Ma, in effetti, fanno leva sugli istinti delle masse che portano a quelle ingiustizie ed a quei mali. E su quello speculano nel modo più flagrante. La volgarità ed il male del film stanno nell'intimo delle sue specificità. Proprio come il grande cinema nasce dalla qualità dello sguardo di un cineasta, dalla sensibilità e dall'arte con la quale l'occhio cinematografico si posa sul mondo (e non, quindi, dalla qualità dell'oggetto, della situazione o del personaggio osservato), egualmente è lo sguardo del regista di ADDIO ZIO TOM che contiene in nuce, la volgarità, la mistificazione, la speculazione. Il modo con il quale la macchina da presa si posa sui personaggi denuncia, dalla prima inquadratura del film, gli intenti degli autori. Non occorrono allora il commento o le situazioni filmate a far comprendere agli spettatori il doppiogiochismo e la bassezza del film: ma è qualcosa di più intimo, di più strettamente legato al mezzo cinematografico a denunciarlo.

Ed è proprio attraverso un esempio così basso e deleterio di spettacolo che nasce una riprova della forza e delle possibilità del linguaggio cinematografico. Anche se al negativo, e questo forse Jacopetti non se lo immaginava, ADDIO ZIO TOM ci propina una lezione di cinema.


   Il film in Internet (Google)

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