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DOMENICA, MALEDETTA DOMENICA
(SUNDAY, BLOODY SUNDAY)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 23 novembre 1972
 
di John Schlesinger, con Glenda Jackson, Peter Finch, Murray Head, Peggy Ashcrof (Gran Bretagna, 1971)
A distanza di pochi mesi da un film discutibile come il pluridecorato MIDNIGHT COWBOY, John Schllesinger firma la sua opera più matura. Schlesinger è uno dei non molti registi inglesI da più di dieci anni al top. Fra tutti, a parte il fenomeno Ken Russell, genio e sregolatezza, è stato fra i più continui, almeno sul piano del mestiere. Richardson è caduto quasi sempre nell'estetismo commerciale, Reisz e Lester non hanno mantenuto le promesse, Boorman sta uscendo forse soltanto ora. Caratteristica prima dei giovani cineasti inglesi sembra essere quella di rimanere eternamente gli autori di un solo film, il primo e unico.

Come Schlesinger passi dalle strizzatine d'occhio del a tratti insopportabile UOMO DA MARCIAPIEDE a questo discreto , controllatissimo SUNDAY, BLOODY SUNDA è un mistero. E fa nascere alcuni dubbi, dei quali diremo dopo.

Perfettamente inseritA in un contesto sociale e geografico, questa storia di un terzetto che tenta disperatamente di trasformarsi in coppia non ha infatti nulla di tendenzioso, di ambiguo. Lontano dalle speculazioni commerciali di MIDNIGHT COWBOY,all'autore riesce al contrario una riflessione accorata e lucida sulla condizione umana. Disegnato perfettamente a livello di sceneggiatura, di una perfezione geometrica dettata sull'idea dei fili telefonici che legano i tre personaggi, il film si spiega con la logica inappuntabile. Le psicologie dei personaggi, pur in una vicenda che a priori potrebbe apparire scabrosa, sono credibilissime: giustamente Schllesinger ha scelto tre individui che, per ragioni diverse, sono messi di fronte ad una situazione straordinaria. Ma proprio per la giustificazione di questa loro posizione nei confronti della società cosiddetta normale (il dott. Hirsch è ebreo, inserito in un contesto estraneo; così la ragazza, che è figlia di banchieri, evolve in una classe sociale del tutto differente) la loro accettazione e disponibilità è acquista interesse. La direzione e la resa degli attori (Peter Finch, Blenda Jackson ed il giovane disputato dai due) è perfetta. Lo stile del regista, di indubbia sensibilità formale, teso a spezzare i momenti del racconto per raccoglierne i frammenti e ritrovarne una verità unica, è adeguato. E conferma la fama di Schlesinger di cineasta padrone del proprio mestiere come pochi.

C'è qualcosa però che m'impedisce di gridare al capolavoro, di unirmi al coro di lodi incondizionate che il film ha raccolto quasi ovunque. Forse è proprio la grande abilità dell'autore, la perfezione delle strutture di questo film. C'è come un distacco fra Schlesinger ed il suo lavoro: non una freddezza emotiva, perché gli attori restituiscono al film una grande sensibilità. Ma la sensazione che dietro alle immagini della pellicola (anche alle più sensibili, le sequenze della cerimonia ebraica, quelle che riguardano la solitudine della ragazza e del medico, quella finale dell'incontro causale dei due) ci sia un calcolo intellettuale, abilissimo. Ci sia una riflessione intelligente e razionale ma alla quale manchi quell'abbandono, quell'istante di debolezza rivelatrice dell'intimo di un autore, che mi sembra indissolubile dal momento creativo più genuino.


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