Tutto si svolge a livello delle intenzioni. Che sono ottime: denuncia della mafia, connivenza delle alte autorità politiche e giudiziarie con questa, onnipotenza della stessa, eccetera.Tentativo, anche riuscito, di mostrare due diverse mentalità desiderose di giustizia, che si muovono nello stesso tempo, ma con temperamenti, educazione, mentalità diverse: il poliziotto, idealista deluso, che decide di farsi giustizia da sé, constatata la impotenza delle procedure normali. Ed il magistrato, convinto della forza di queste procedure, o perlomeno della validità di quelle nuove e moderne, che tira dritto per la sua strada.
Se questa sia la giusta, per il regista, non è chiarissimo: se, da una parte, la chiusura del film sembra lasciare presagire questa fiducia di Damiani nella giustizia "nuova", dall'altra, visto come il personaggio di Martin Balsam schiacci completamente quello di Franco Nero dal punto di vista della interpretazione e della simpatia, anche quella dello spettatore finisce per andare al poliziotto che si fa giustizia da sé.
Forse, più che a livello della sceneggiatura e delle ideologie, che sono le cose migliori del film, l'ambiguità nasce dalla realizzazione del film, che è assai deludente. A prescindere dalla parte finale del racconto, che si solleva un poco sul piano descrittivo, i risultati cinematografici sono desolatamente inconclusi, e mai vanno oltre quella onestà tecnica che fa parte ormai del patrimonio di ogni pellicola decente. Anche i momenti più emotivamente sentiti, come quelli che riguardano il sindacalista, non riescono a sfociare in momenti registici efficaci.