Un mestiere s'impara. E Bevilacqua, scrittore di successo e stima, se lo impara discretamente; anche perché oggi la tecnica del cinema non ha più misteri, ed i film - tonfo non esistono più. La fotografia è buona, gli attori sono buoni, la sceneggiatura, anche se un po' stramba e molto ingenua, starebbe anche in piedi, la musica è invadente, ma Morricone piace. LA CALIFFA è molto meglio di ANONIMO VENEZIANO, dopo tutto. E anche se questo era uno dei film esecrabili degli ultimi anni, vuol pur sempre dire che Bevilacqua ha un po' più di gusto di Salerno. Perché, quanTo a successo, ne hanno avuto ambedue.
Il guaio è che il cinema è malgrado tutto, qualcosa più di un mestiere. È un linguaggio che va adoperato con un minimo di personalità; un modo di vedere la vita e di osservare il mondo, ma in modo particolare, soggettivo, piegato a degli umori, a degli stati d'animo; e ad una educazione estetica, un convincimento morale.
Bevilacqua fa il suo mestiere. Piazza il suo attore dall'altra parte dell'obiettivo e preme il bottone. Non è solo che , facendo in questo modo, tutto diventi anonimo anche se non necessariamente orribile. È che lasciando andare tutto per suo conto, l'operatore fa dell'estetismo, gli attori del gigionismo, lo sceneggiatore della grandiloquenza, ed il musicista dell'invadenza; quasi che ognuno facesse a gara per dire la sua più forte degli altri. Con ciò, poteva anche venir peggio.