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IL GIARDINO DEI FINZI - CONTINI Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 11 maggio 1972
 
di Vittorio De Sica, con Dominique Sanda, Fabio Testi, Romolo Valli, Lino Capolicchio, Helmut Berger, Alessandro D'Alatri (Italia, 1970)
 

"Miracolo a Cinecittà" l'hanno definito i francesi, ripensando ad una delle opere dell'epoca d'oro di de Sica, quella di SCIUSCIA', LADRI DI BICICLETTE, UMBERTO D.... Epoca trascorsa da un pezzo. Tanto da far accostare il caso del regista italiano a quello di Marcel Carné, ex-monumento del cinema francese il quale, una volta abbandonato da Jacques Prevert, partorì in continuazione operette almeno altrettanto lamentevoli di quelle firmate da de Sica, dopo il divorzio da Zavattini. In altre parole: di chi erano veramente i meriti, ai tempi di quei capolavori. Miracolo, comunque. E de Sica ritrova, illustrando la Ferrara del bel romanzo di Bassani una certa misura nel languore, una felicità nell'ambientazione: quell'abilità nel toccare le corde del sentimento senza cadere più di tanto nel sentimentalismo che una volta era sua.


Oltre all'ambientazione, che deve aver riportato de Sica, ormai settantenne, alle atmosfere dei suoi momenti più fertili, il film vale per il personaggio di Micol, che Dominique Sanda rende in tutto il suo significato. Accettazione di un destino, di un ruolo, ma soprattutto attaccamento ad un ricordo, ad un significato, ad una tradizione, al valore delle cose rimembrate. Nell'incontro con il personaggio della Sanda, e in misura minore con quello delle altre due famiglie ebree, il film traduce il meglio del dramma individuale ed universale che in quel momento si compie.


Dove il cinema di de Sica mostra invece tutte le sue rughe ed i suoi limiti è nella descrizione dell'altro elemento-fulcro dell'opera, ed è proprio quello sul quale figuratamene il film intendeva costruirsi, il "Giardino". Che, da catalizzatore formale dei ricordi, dei rinvii morali e psicologici dei personaggi come doveva essere, finisce per diventare un terreno di esercitazione per panoramiche e carrellate sui molti esemplari di piante, sentieri e ramoscelli, secondo una tradizione espressiva decisamente datata. Una ricerca esclusivamente emotiva di quell'elemento fondamentale del racconto che al contrario con ben altra introspezione espressiva andava esplorato.


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