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ALICE'S RESTAURANT
(ALICE'S RESTAURANT)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 23 gennaio 1972
 
di Arthur Penn, con Arlo Guthrie, Pat Quinn, James Broderick (Stati Uniti, 1969)
 
Se da un lato non è facile trovare un tema comune che leghi il cinema abile e ambizioso di Penn (Mickey One, The Chase, BonnIE and Clyde, Little Big Man), che non sia quello della solitudine che sfocia nella violenza dell'individuo, è proprio a questa violenza che si ricollega anche ALICE'S RESTAURANT. Ma la violenza di questa storia di hyppies è contenuta proprio nella sua dolcezza.

I personaggi di Penn sono dei disadattati che vivono al bando di una società nella quale non riescono ad integrarsi. Se in BONNIE AND CLYDE (GANGSTER STORY nella versione italiana) la rivolta porta alla violenza, qui, in ALICE'S RESTAURANT essa porta alla non-violenza. Che è la stessa cosa: un mezzo, scelto per lottare contro la società, una protesta. E non a caso vediamo che il personaggio più anziano del film, Ray, proprio perché rappresenta l'elemento di rottura, l'impossibilità di entrare nel mondo degli altri, in questo caso gli hyppies, deve trovare il suo sfogo nella violenza impotente; ed dalla fine assiste sconsolato alla disgregazione del proprio mondo.

Più che una lucida disanima del fenomeno hyppies, ALICE'S RESTAURANT è però una divagazione sfumata, dai toni a volte impregnati di tenerezza, su alcuni aspetti della società americana d'oggi. Penn s'avvicina al mondo con un suo stile introspettivo, attento agli sguardi dei personaggi, spesso ripresi in primo piano, nel tentativo di isolarne l'intimità. Tipiche in questo senso sono tutte le sequenze nella stanza d'ospedale, dove tutto si svolge sul filo degli sguardi. E Penn è molto ben assecondato su questa via da Arlo Guthrie, il cui volto, dalla insolita e contrastante dolcezza è un po' lo specchio delle intenzioni del regista. Il tono volutamente non realistico dell'opera è poi molto ben accentuato dall'uso della musica, che scandisce il ritmo del racconto, che ne ordina le immagini e ne condiziona il senso, e che rivaluta un genere un tempo fertile di capolavori, ed ora praticamente defunto a Hollywood come altrove, la commedia musicale.


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