La parte iniziale de I FIDANZATI sembra avviarsi nello stesso senso; con quella bella descrizione della sala da ballo di periferia, con quell'arte dell'ambientazione di cui Olmi è maestro. I personaggi fisici sono scelti in modo perfetto, con una aderenza alla realtà del mondo operaio lombardo che non trova molti altri riscontri nel cinema italiano, solitamente in altre faccende affaccendato. La trasferta dell'operaio nel Meridione, l'ostilità della fidanzata dapprima, dell'ambiente in seguito, segnano nel film un progressivo rallentamento nel ritmo, e anche nell'ispirazione. Alle pagine di sensibilità descrittiva si alternano sempre di più certi vuoti psicologici, che si vorrebbero del personaggio, ma che sono invece della vena creativa.

I FIDANZATI finisce così per cadere nella trappola che è tesa costantemente ad un cinema come quello di Olmi: un sentimentalismo di marca deamicisiana, una staticità formale ingiustificata. Detto ciò, e pensando ai momenti più felici della mano del regista, non si può non esprimere il rincrescimento che questo regista non voglia, o non possa, produrre più sovente.