Una delle più celebri commedie musicali e, al tempo stesso l'atto di morte di uno dei grandi generi cinematografici? Firmata da un regista che non si era mai occupato di quel genere di cose fino a quel momento, preparata soprattutto dal coreografo Jerome Robbins che fece ripetere per 75 giorni i suoi ballerini e li riprese per sette mesi, WEST SIDE STORY costituisce in effetti una serie di strepitosi virtuosismi coreografici, di balletti tecnicamente insuperabili. E di alcune melodie che hanno fatto il giro del mondo.
Ma tutto ciò non era che la pelle di una delle grandi creature di Hollywood. L'anima, come quella del western, se ne stava già andando. Le ragioni? La scomparsa delle Majors, delle grandi case produttrici. La scomparsa di un'idea che ci si faceva di Hollywood. La scomparsa del Mito. Con WEST SIDE STORY scompare dal musical l'epico ed il fantastico. L'azione si svolge per le strade e non più nel mondo ricreato dell'illusione. La televisione, e non solo lei, impongono le regole del realismo: cantare, su uno schermo, diventa una cosa ridicola.
Rimangono i ballerini. L'idea, imposta da Robbins e ripresa in seguito da Bob Fosse (ALL THAT JAZZ) che un gruppo coreografico possa, assai meglio di un individuo, incarnare un'idea drammatica. La rivalità fra i Jets bianchi e gli Sharks portoricani che fecero vivere il film rappresenta qualcosa di più di una trovata alla moda. E' la fine di un mondo di cartone colorato: dopo il film di Wise non ci saranno più che le riesumazioni (nostalgiche?) di Fosse e di Scorsese (NEW YORK NEW YORK). Ma l'ultimo vero musical è di sette anni prima: È NATA UNA STELLA...