Sulla base della splendida sceneggiatura di Roberto Sonego, un grande Sordi riesce a vincere quella che era la prima scommessa del film: trasformare il proprio ruolo d'irresistibile spernacchiatore dei vizietti italiani in quello di un eroe. Pieno di dubbi e di tragicomici ripensamenti: ma pur sempre eroe: pronto a rinunciare ai compromessi ed alla corruzione di (quasi) tutti per preservare una propria sorta d'innata purezza. Dalle prime mezzemisure di partigiano nella Dongo degli ultimi soprassalti del fascismo, alla faticosa militanza nel giornalismo disastrato di sinistra, ai momentanei cedimenti in veste di segretario tuttofare dell'industriale del quale a suo tempo aveva denunciato le malefatte la condizione privata del protagonista si specchia alla perfezione nell'evoluzione di tutta una generazione. Con qualche indulgenza melodrammatica che la vena grottesca di Sordi riesce fortunatamente a smussare certe sequenze (la cena dei monarchici, un grande Claudio Gora nei panni del padrone, le sequenze disincantate in una felliniana Viareggio ormai da anni del boom) che rimangono memorabili.