Con in mente un finale di carriera dimostrativo o, come si usa sempre dire meno, commerciale, tendiamo a sorvolare sempre più sulla maestria stupefacente del cinema di Otto Preminger. Ecco allora, a più di mezzo secolo di distanza, la lezione che ci appare assolutamente intatta di questo SUI MARCIAPIEDI (WHERE THE SIDEWALKS ENDS). Dove il grande viennese ripropone con altrettanto fulgore, dopo il sublime VERTIGINE (LAURA) (da ammirare assolutamente nei Cineclub della Svizzera Italiana di un ciclo affascinante, "La diva fragile", a partire dall'11 gennaio a Mendrisio !) , il contrasto straniante tra il viso d'angelo e l'inquietudine contraddittoria della coppia Gene Tierney - Dana Andrews.
Così, questa storia (tortuosa, ma perfidamente congegnata dalla solita magistrale sceneggiatura di Ben Hecht) del tenente di polizia condotto alla violenza ed all'omicidio colposo da una natura ambigua e sofferta acquista oggi un significato assolutamente moderno. E anticipa certe riflessioni, ancora premature in quell'epoca d'oro del noir americano.
Non è allora l'azione degli inseguimenti o delle sparatorie a creare la tensione di WHERE THE SIDEWALKS ENDS. Dove anche la conclusione, pur carica di suspense, viene liquidata con uno sbrigativo colpo di manopola che priva l'ascensore occupato dai cattivi di proseguire la propria corsa. Ma a costituire la vera ossatura della progressione drammatica è il viaggio interiore nelle nevrosi del protagonista, l'evidenza di una parentela fra il realismo del poliziesco e l'analisi psicanalitica. Tante fratture, nelle quali la regia di Preminger sembra dilagare, magnifica per semplicità ed efficacia nell'occupare degli spazi quasi tutti ricostruiti in studio di una New York sognata. Un capolavoro del cinema poliziesco, tutto nell'ottica di un personaggio e di un dramma interiorizzati, ai mirabili confini del rischio di moralismo e dell'osservazione distaccata.