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ZELIG
(ZELIG)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 13 ottobre 1983
 
di Woody Allen, con Woody Allen, Mia Farrow, Stephanie Farrow, John Buckwalte (Stati Uniti, 1983)
 
"Tutta la successione dei film di Woody Allen, da Prendi i soldi e scappa (1969) a Zelig è una lunga rincorsa al momento magico costituito dall'equilibrio perfetto tra commedia e dramma. Talvolta ottenuto (Annie Hall, 1977 e Manhattan, 1979), talvolta mancato (Stardust Memories, 1980) per eccessivo compiacimento o per zelo eccessivo (Interiors, 1978). Se Zelig, pur situandosi ad anni luce di distanza non fosse che temporale, fa pensare spesso a Chaplin o a Keaton e proprio perché, come nelle opere più mature di quei maestri del comico cinematografico, ad Allen riesce il sogno di ogni autore comico: far ridere, ma anche pensare.

Certo, se è questo che il lettore frettoloso vuol sapere, in Zelig si ride di più che negli ultimi film di Woody Allen: ma è un riso diverso da quello provocato dalle celebre gag di Prendi i soldi e scappa, Bananas o Provaci ancora Sam.

La farsa si è fatta satira dapprima, ed ora commedia, o forse tragicommedia. Qualcuno rimpiangerà quei momenti, così come cinquant'anni fa una parte degli spettatori di Tempi moderni reclamava le comiche del primo Charlot. Ma, che lo si voglia o meno, dei film come Zelig segnano quel passaggio che porta l'osservazione comica a farsi analisi di comportamento e quindi visione poetica. Con Zelig, a 48 anni e nel pieno di un'immensa fortuna di uomo di spettacolo, Woody Allen si permette il capriccio di ripartire da zero. Di riprendere alcuni schemi del suo primo film (le interviste ad alcuni personaggi del presente -tra cui la solita, assolutamente esilarante, al genitore che sparla del flglio- per ricreare un protagonista del passato) per scomporli e riadattarli alla ricerca di nuove forme di racconto cinematografico. Zelig, che si sviluppa su diversi piani di lettura, è infatti innanzitutto una serie di interviste filmate a colori, di alcuni celebri intellettuali contemporanei, come gli scrittori Saul Bellow e Susan Sonntag, o lo psicanalista Bruno Bettelheim, Essi ci parlano di uno strano personaggio vissuto negli Stati Uniti degli anni trenta e quaranta: Zelig, l'uomo camaleonte, che per piacere al prossimo e alla società assume le sembianze, fisiche e psicologiche di chi lo avvicina.

Fra gli intervistati vi è anche un'anziana signora, la dottoressa (Mia Farrow) che curò e si innamorò di Zelig. Essa ci parla di quell'esperienza, ed ecco che le immagini diventano in bianco e nero. Fotografie d'epoca, filmati documentari, spezzoni di cinegiornale. In essi compaiono altri personaggi di quegli anni, attori come Carol Lombard, Chaplin, Marion Davies o Tom Mix, protagonisti della storia come il sindaco di New York o, addirittura, il Papa e Hitler. Fra di loro, con la sua storia di uomo diverso che fa di tutto per apparire uguale agli altri, comincia ad apparire Zelig. Lo vediamo comparire nello sfondo, e quasi dobbiamo sforzarci di riconoscerlo dietro ai personaggi in primo piano confuso fra i passanti di Times Square o gli invitati ad una festa de; mitico magnate Hearst. Ma Zelig, anche se nel corso della proiezione tendiamo progressivamente a dimenticarlo, anche se lo vediamo inserito con diabolica abilità nei documentari (autentici e manipolati, oppure del tutto ricreati, ed invecchiati in seguito) d'epoca, non è un personaggio realmente esistito. Ma una semplice proiezione della fantasia dell'autore: Allen introduce la finzione nel tipo d'immagine che maggiormente ci dà l'impressione di verità. Quella del (presunto) documentario: il taglio di tipo televisivo per le interviste e per il tono biografico del racconto, e quello da cinegiornale per le scene del passato. Non solo: in Zelig si vedono anche spezzoni di un film che la Paramount avrebbe girato nel '37 sul caso. Attori che fingono di vivere l'esperienza reale di un avvenimento mai esistito. Finzione della finzione. Ecco quindi che il film assume sempre di più l'aspetto di una intelligentissima esercitazione di stile, ma meglio dovremmo dire di una riflessione, sorprendentemente inedita e lucidissima, sul potere dell'immagine. E sulla rimessa in questione, sulla relatività insomma, della nozione di verità. Quello che è e vedete è vero, ci dice Allen: cosa volete di più vero di una testimonianza d'epoca filmata e fotografata? Ma, al tempo stesso, eccovi la smentita immediata. Il documento è falso, diffidate dai preconcetti.

Su questa trama formale di rimessa in questione di valori, la storia di un uomo che per poter essere accettato dalla società deve mentire.

Il personaggio Zelig è come l'immagine del film Zelig: esiste in quanto finzione, scompare quando smascherato. Uomo-camaleonte per piacere al prossimo, per non essere di disturbo, Zelig è accettato, anzi eroicizzato dalla società. Guarito dall'amore e dalla scienza diventa trasparente, vulnerabile e quindi vittima delle vendette di quella medesima società che lo aveva esaltato. Questo parallelismo tra l'invenzione di un personaggio teso disperatamente alla ricerca di un'identità e l'invenzione di una forma che costantemente rifiuta la propria nozione di verità e di identità, permette a Woody Allen di creare uno dei film più intelligenti ed originali che si siano visti negli ultimi tempi. Ma Zelig non è ovviamente un film-palestra per esercitazioni intellettuali: l'humour dissacrante del comico e la commovente dimensione umana del protagonista rendono all'analisi sociale di Allen una vera e propria dimensione poetica. E da Zelig si esce riconciliati con il cinema."


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