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WALL STREET Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 18 febbraio 1988
 
di Oliver Stone, con Michael Douglas, Charlie e Martin Sheen (Stati Uniti, 1987)
 
WALL STREET è certamente un film ispirato. Non tanto per avere, come si sono ovviamente affrettati a strombazzare i produttori anticipato il Lunedi Nero. Al contrario: nel film si sottolinea, ci mancherebbe, il carattere malefico della rincorsa sfrenata al denaro. Ma per neppure un istante, viene messa in discussione la bontà di una meccanica, per non parlare di una filosofia. Michael Douglas, il raider, il cattivo, quello che non guarda in faccia a nessuno pur di far soldi, rimprovera pur sempre (in una delle sequenze più efficaci) agli azionisti di perdere in aggressività. Greed, la rapacità, ha fatto la forza dell'America: " stiamo diventando una potenza di secondo piano ".E gli autori, pur impostando il film sulla critica del personaggio, non possono far a meno di approvare. Non per niente, in fine di reaganismo, WALL STREET trionfa sugli schermi americani: sembra impossibile, ma alla crisi del '29 nel film non si accenna nemmeno.

Ispirato, WALL STREET lo è per altre ragioni. Oliver Stone è figlio di un agente di borsa: e ha fatto la carriera che ha fatto. Anche nel film si ripropone la medesima situazione: Martin Sheen, l'eroe di APOCALYPSE NOW , è un meccanico specializzato in aeroplani. E suo figlio nella vita come nella finzione) è Charlie Sheen, lo speculatore buono (...), colui che si ribella a quello che esagera. WALL STREET, più che ad una riflessione sulla finanza, assomiglia quindi ad un viluppo di cordoni ombelicali.

Ispirato, e sbagliato. I film, diceva qualcuno, si giudicano fin dai titoli di testa: qui schermi di computer, ritmo frenetico, grattacieli ripresi dal basso, montaggio cut, che fa tecnologico. Come dire l'estetica presunta efficace, in effetti semplicemente ovvia e superficiale. Oliver Stone era un maestro nel mostrare l'invisibile. La forza, e la riuscita di PLATOON era tutta in quella facoltà di trasformare una minaccia fisica, e quindi in un certo senso normale, i Vietnamiti nella giungla, in una fatalità nascosta ed incombente, quindi eterna.

Qui, in WALL STREET, l'astrazione non riesce. Il denaro è nascosto, ma la perversione dell'ingranaggio non è espressa. Il film è verboso, ripetitivo e schematico. Le sottigliezze dei giochi finanziari non sono necessariamente noti agli spettatori: ma la regia non compie grandi sforzi per farceli capire (tutto quello che trova Stone, per mostrarci il parossismo in Borsa, è la vecchia split image, lo schermo che si divide in tanti quadretti...). E l'ambiente, proprio quello che in PLATOON permeava straordinariamente ogni azione, non riesce mai a significare il racconto.

Certo, gli attori sono guidati alla perfezione, in uno sfondo ricreato con attenzione scrupolosa: ci mancherebbe, nel solito investimento di svariate decine di milioni.


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