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VALZER CON BASHIR
(VALS IM BASHIR)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 11 gennaio 2009
 
di Ari Folman, documentario di animazione (Israele, 2008)
 

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Il cinema e l'attualità, il dramma di Gaza, la guerra del Libano e quelle che l'hanno preceduta, il massacro di Sabra e Chatila, le ferite mai rimarginate nella memoria collettiva d'Israele. Certo; ma come immaginare che un disegno su pellicola, con il suo carico di fantasie ludiche, di memorie disneyane più o meno rimosse dai cartoons digitalizzati in voga, potesse indagare con tanta inquietante, penetrante finezza le atroci contraddizioni morali e gli orrori più concretamente realistici di tutte le guerre? Parrebbe un controsenso, ma la scommessa è splendidamente riuscita in WALTZ WITH BASHIR, dell'israeliano Ari Folman. Dove il valzer del titolo è quello innescato dall'assassinio di Bachir Gemayel, leader cristiano libanese, immediatamente seguito in quel 1982 dalla tragedia nel campo dei profughi palestinesi di Sabra e Chatila, nell'ambigua ignoranza del coscritto ventenne di allora. Migliaia di civili, donne e bambini massacrati dai falangisti maroniti, ma con la tacita accondiscendenza di Israele.


L'interesse del film non è però tanto quello di denunciare un fatto storico appurato, che condusse in un primo tempo all'allontanamento del ministro della difesa Ariel Sharon; ma di sondare i sedimenti di una colpa che ha lasciato le sue tracce in più di una generazione, di rappresentarla sotto una forma addirittura autobiografica, illustrando il cammino dell'autore nel recupero della propria memoria evacuata. Da uno psicanalista a uno storico, a un commilitone: straordinario itinerario fatto d'interviste disegnate, pudico e introverso, di gran lunga più sofferto che polemico. È l'energia impensabile di un film che nasce non solo dalla sua bellissima fattura, da una originalità che spicca nella storia del cinema, ma dalla propria sostanza. Perché sono proprio i confini incerti, sognanti del cartone animato a permettere di entrare in quelli, altrettanto irrazionali, della colpevolezza. Come se l'arma della fantasia permettesse una volta ancora di penetrare con infinita lucidità e delicatezza nei segreti dell'animo umano.

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The cinema and current affairs, the drama of Gaza, the war in Lebanon and those that preceded it, the massacre of Sabra and Chatila, the wounds that have never healed in Israel's collective memory. Of course; but how could one imagine that a drawing on film, with its load of playful fantasies, of Disney memories more or less removed from the digitised cartoons in vogue, could investigate with such disturbing, penetrating finesse the atrocious moral contradictions and the most concretely realistic horrors of all wars? It may seem like nonsense, but the gamble is splendidly successful in WALTZ WITH BASHIR, by Israeli director Ari Folman. Where the waltz of the title is the one triggered by the assassination of Bachir Gemayel, a Lebanese Christian leader, immediately followed in 1982 by the tragedy in the Palestinian refugee camp of Sabra and Chatila, in the ambiguous ignorance of the then 20-year-old conscript. Thousands of civilians, women and children massacred by Maronite phalangists, but with the tacit acquiescence of Israel.

The interest of the film is not so much to denounce an established historical fact, which initially led to the dismissal of the Minister of Defence Ariel Sharon, but to explore the sediments of a guilt that has left its traces in more than one generation, to represent it in an even autobiographical form, illustrating the author's path in the recovery of his own evacuated memory. From a psychoanalyst to a historian, to a comrade: an extraordinary itinerary made up of drawn interviews, modest and introverted, far more suffered than polemical. It is the unthinkable energy of a film that stems not only from its beautiful workmanship, from an originality that stands out in the history of cinema, but from its own substance. Because it is precisely the uncertain, dreamy confines of the cartoon that allow us to enter the equally irrational confines of guilt. As if the weapon of fantasy once again allowed us to penetrate the secrets of the human soul with infinite lucidity and delicacy.

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