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VALMONT
(VALMONT)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 9 giugno 1990
 
di Milos Forman, con Colin Firth, Annette Bening, Meg Tilly, Fairuza Balk (Francia - Gran Bretagna, 1990)
"Se l'ultima opera dell'autore di AMADEUS s'intitola VALMONT, pur essendo ispirata a quelle identiche LE RELAZIONI PERICOLOSE che hanno permesso a Stephen Frears di creare il bellissimo film apparso appena pochi mesi prima di questo, non è certo a caso. Perché VALMONT, liberamente adattato dal capolavoro di Choderlos de Laclos nasce nel segno della libertà: e di quell'innocenza che, per affermarsi, deve liberarsi da ogni costrizione.

Quando si scrivono delle lettere (e qui si tratta, com'è noto, di un romanzo epistolare) si descrivono degli avvenimenti - dice Forman - che sono già accaduti: assieme allo sceneggiatore Jean-Claude Carrière abbiamo invece voluto scoprire ciò che era successo prima che queste lettere fossero state scritte. È tutta la differenza esistente fra il film di Frears (al quale è difficile non riferirsi anche se, ed è particolarmente evidente in questo caso, i paragoni sono sempre relativi) e VALMONT. Il primo è chiuso in una struttura rigorosamente definita, quella delle lettere: l'immagine - costruita sull'uso privilegiato del primo piano, sulla perfetta utilizzazione del montaggio -si pone mirabilmente al servizio della parola: e LE RELAZIONI PERICOLOSE diventa allora un film sull'intrigo, sul calcolo, sulla genesi della perversione. Il secondo è tutto il contrario, poiché è costruito nel segno dell'apertura, e della possibilità che la libertà offre all'interpretazione dei fatti e dei personaggi. Così, mentre il film di Frears si organizzava su degli spazi quasi claustrofobici, VALMONT riprende uno dei principi di AMADEUS: il privilegio alla dinamica, al movimento come sorgente rinnovatrice di vita.

Ogni ripercussione dell'intrigo si traduce, in VALMONT, in un'apertura spaziale: nel senso di un galoppo sfrenato, dello sferragliare di una carrozza, di un inseguimento amoroso fra un filare di alberi di uno dei tanti castelli che fanno da sfondo alla vicenda, o di un'apertura - realista e sensuale - su uno scorcio di strada, su un mercato, una taverna, un teatro, su uno degli splendidi ambienti naturali ed autentici nei quali il film viene improvvisamente a respirare, evitando di attardarvisi con compiacimento. Il dinamismo del film, come espressione di vitalità libertaria, conduce allora ad un'altra delle sue particolarità, il privilegio della giovinezza. Ringiovanendo (rispetto alle precedenti versioni del romanzo, formate da Vadim e Frears) Valmont, la marchesa di Merteuil, madame de Toura l'opera dell'esule cecoslovacco negli USA è segnata dall'esigenza d'innocenza e di generosità in un mondo corrotto e colpevole. Come i protagonisti di HAIR o di QUALCUNO VOLÒ SUL NIDO DEL CUCULO, anche quelli di VALMONT lottano disperatamente per preservare le proprie illusioni: anche il perverso marchese, che si domanda se "un uomo può cambiare". Anche la perversa marchesa, che non disdegnerebbe probabilmente un tranquillo ménage di passione con l'arrivista Gercourt, se questi non l'umiliasse senza ritegno.

Certo, lo fanno come possono. In un'epoca già segnata dalle contraddizioni e dai segni precursori dai drammatici mutamenti che si avvicinano (i servi, onnipresenti, che osservano apparentemente imperturbabili la futile esistenza dei padroni; l'aridità "borghese" dei due soli personaggi effettivamente negativi, il cortigiano Gercourt e la madre, cacciatrice di dote benché ricchissima, di Cécile), con un'ambiguità che è anche suggerita dall'estetica alla quale il film s'ispira (Fragonard per gli interni, Watteau per gli esterni) i personaggi di VALMONT, se non ci sembrano maligni, non ci appaiono nemmeno come degli esempi di cristallina maturità . Ma, in questo caso ancora, Forman sembra impegnato in una salutare operazione a controcorrente: mille volte meglio, sembra dirci, lo spreco esistenziale dei miei personaggi, incoscienti, gaudenti e generosi. Che il calcolo, avido e tragico, del libertino della tradizione.

In questo senso, dietro le apparenze di un film meno impegnato, più decorativo ed accademico di quello di Frears, il VALMONT di Forman acquista una modernità insospettata: facendosi paladino del seduttore solare nei confronti di quello diabolico, il regista cecoslovacco sembra rivendicare una volta ancora quello slancio libertario che è da sempre uno dei segreti del successo e dell'universalità della sua opera."


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