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VALENTINO Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 14 settembre 1978
 
di Ken Russell, con Rudolf Nureyev, Leslie Caron, Seymour Cassel (Gran Bretagna - Stati Uniti, 1977)
 
(PUBBLICATO ALL'ORIGINE SU AZIONE DEL 14 SETTEMBRE 1978)

L'ultimo film dell'autore di DONNE IN AMORE e di L'ALTRA FACCIA DELL'AMORE non merita la dicitura, non proprio indovinata, che accompagna l'annuncio della proiezione: "Soltanto per alcuni giorni", come dire sbrigatevi, che poi passiamo ad altro... Eppure VALENTINO è sicuramente una delle opere migliori di colui che fu salutato una decina di anni fa come il salvatore di un cinema inglese a corto di talenti. E poi liquidato, sulla scia di alcune opere discutibili come MAHLER, TOMMY o LISTZOMANIA con l'etichetta sbrigativa di maestro del kitsch grandiloquente.

Ex-regi sta televisivo specializzato in biografie musicali (un'inclinazione che, nei momenti migliori, lo distingue mirabilmente), Ken Russell è senza dubbio un cineasta visionario, barocco, decadente. Toccato dalla grazia dell'intuizione espressiva delirante, quanto dalla mancanza di senso della misura. Ma qui, come non riconoscerlo, l'odore di morte dei suoi drappeggi, il fasto eccessivo dei suoi colori, il parossismo sconvolgente dei suoi momenti forti, il lirismo sfrenato dei suoi entusiasmi serve perfettamente la storia che racconta. Non so fino a che punto VALENTINO corrisponda alla realtà biografica: quello che conta è che Russell ha saputo trasformarlo nel ritratto accorato di un individuo. E della cornice che, con crudele determinazione, imprigiona il ritratto.

L'America di VALENTINO, tipico esempio di un mondo che non concede scampo alle vittime predestinate, è infatti la seconda protagonista del film. E' lei che determina l'ascesa sociale dell'emigrato italiano, del ballerino di tango laureato in agronomia desideroso soltanto di andarsene a coltivare arance in California. E' lei che lo innalza al ruolo di feticcio sessuale, mito vivente del successo nazionale. Ed è lei che ha saputo trasformare abilmente la femminilità iniziale del personaggio in fragilità toccante. Lo ha assorbito, letteralmente, nella pulsazione avida degli ambienti, dei suoni, degli accostamenti, spesso geniali, che nascono dal montaggio.

La fecondità decorativa del regista, qui controllata come raramente in passato, serve a descrivere non tanto un'epoca, quanto l'interno di un individuo. Ed il suo sfaldarsi, che è quello di una società orfana di modelli e di valori. Un'epoca, che già possiede l' efferata efficacia di quella che verrà definita tecnologica, che lo desidera e lo respinge. E la solitudine di Valentino (un grande Nureyev) è la tragedia di altre vittime che seguiranno. Vittime della propria fragilità, della propria disponibilità. Di una società che non concede loro il privilegio di essere diverso.


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