Il rispetto che si merita uno dei cinema più generosamente attenti al sociale ed alla dignità delle coscienze è ormai quasi inutile ricordarlo. Cinema esemplarmente limpido ed efficace; unico, quando racconta il privato più umile senza sentire l'obbligo di alcuna dimostrazione. UN BACIO APPASSIONATO rispetta splendidamente il primo di questi aspetti del cinema di Ken Loach; meno, il secondo. Ecco spiegato perché UN BACIO APPASSIONATO appartenga ai suoi film resi meno soavi dal fatto di dover vendere una tesi; a quelli relativamente meno interessanti (come LAND AND FREEDOM, BREAD AND ROSES o CARLA'S SONG) rispetto ai capolavori, LADYBIRD, RAINING STONES, MY NAME IS JOE.

Ecco perché la tesi del suo nuovo film che condanna ogni sorta di integralismo appare (direi quasi ovviamente) encomiabile; meno la mano di una regia che sembra faticare qui a ritrovare la sua leggendaria, intuitiva facilità. Cosi, la passione dei suoi due giovani e simpatici amanti è, ci mancherebbe, più che condivisibile; ma mai veramente trascinante. La bruscamente interrotta vacanza clandestina al sud si perde in una sessualità giocherellona fra gli ombrelloni; che lo spettatore fatica ad assumere anche solo melodrammaticamente. La crudeltà del prete cattolico è quasi di maniera, tanto è priva di quelle ambiguità che reggevano l'energia dei tanti casi precedenti denunciati dal regista. I condizionamenti sociali, psicologici, religiosi del clan pachistano sono più spiegati che veramente evidenziati. La storia del bravo attore non professionista Atta Yaqub, impossibilitato nella Glasgow del duemila dal colore della propria pelle ad amare le bionde volitive e pallide come Eva Birthistle resta allora tutta da vedere; ma pure un poco déjà vu.