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SALAAM BOMBAY! Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 20 aprile 1989
 
di Mira Nair, con Shafiq Syed, Sarfuddin Quarassi (India, 1988)
 
Quello di fondere il documento alla finzione è sempre stato uno dei tanti sogni dei cineasti. Autrice di quattro documentari al suo primo lungometraggio, Mira Nair rifiuta l'organizzazione e l'estetica dello studio (offerto dall' industria cinematografica indiana, una delle più importanti al mondo), e se ne va a filmare fra le strade più dense d'umanità che uno possa immaginare, quelle di Bombay.

L'autenticità del documentario, la testimonianza di una realtà senza interferenze di sorta; più il filtro magico della finzione, che permette d'identificare lo spettatore ai personaggi, di forzarlo a commuoversi, ad indignarsi, ad intervenire. È con questi intenti che nasce il semplice racconto del ragazzino di SALAAM BOMBAY, costretto ad abbandonare la campagna ed il circo nel quale lavorava, per tentare la sorte fra i marginali della metropoli indiana.

Scommessa difficile, anche se non impossibile, resa ancor più ardua dalla terribile accentuazione della condizione indiana, oltre che da tutta una tradizione drammaturgica nazionale: da un lato, insomma, una finzione, una storia, che arrischia di cadere nel melodramma e nel miserabilismo più ovvio. E dall'altro la presenza prepotente dell'ambiente, che minaccia di frantumare sul nascere qualsiasi probabilità d'invenzione fittizia. SALAAM BOMBAY! si sviluppa quindi a metà fra due poli, e finisce col rimanercivi, nel bene e nel male: simpatico e commovente, ambiguo ed irritante al tempo stesso.

Evita certe trappole, come quella del patetismo; ma non quelle di un certo decorativismo (i chiaroscuri sapienti, i colori intensi delle sete, i profili studiati al calare del sole, che stridono con la miseria in circolazione). Costruisce su certi elementi della finzione (la macabra scadenza della sopravvivenza quotidiana, scandita dalla presenza ossessiva del denaro, della banconota guadagnata, rubata, imprestata, nascosta) ma si rivela impotente, in definitiva, ad utilizzare questa finzione per quello che è. Un mezzo per imporre una chiave di lettura personale, che non lasci fagocitare la spettatore dallo sfondo.

La strada diventa invece la sola protagonista del film (assieme alla freschezza degli attori più giovani; e all'amalgama, spesso vincente, fra attori di professione e personaggi presi dal vivo): la "storia" galleggia su questa realtà prepotente, come un'inutile dimostrazione.


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