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SAMMY E ROSIE VANNO A LETTO
(SAMMY AND ROSIE GET LAID)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 9 marzo 1989
 
di Stephen Frears, con Shashi Kapoor, Frances Barber, Claire Boom (Gran Bretagna, 1987)
 
"Stephen Frears, del quale sta uscendo in queste settimane il suo ultimo LES LIAISONS DANGEREUSES, è certamente uno degli autori più interessanti che il cinema inglese abbia rivelato negli ultimi anni. Egualmente, la constatazione di un saggio cambiamento di rotta voluto con l'adattamento delle celebre opera letteraria del settecento francese, unita al visionamento di questo SAMMY AND ROSIE, ci illuminano sui rischi ai quali andava incontro questo campione di due perigliose specialità, la provocazione e la marginalità.

Chi è Frears? A volerlo mettere, per i più frettolosi, in equazione si potrebbe dire: Free Cinema + Fassbinder. La libertà di schemi, cioè, applicata alla tradizione britannica dell'osservazione di costume, più l'esaltazione dell'emarginazione privata come critica del conformismo socio-politico, tipica del regista tedesco. SAMMY & ROSIE traduce tutto ciò, con una pedanteria piuttosto eloquente, dietro a delle visioni apparentemente liberate a caso. In questa vicenda del vecchio politicante pachistano, che ritorna a Londra per ritrovare un figlio che non ha mai praticamente conosciuto, ed una città dei ricordi giovanili che non riconoscerà certamente, ritroviamo ciò che aveva caratterizzato i precedenti MY BEAUTIFUL LAUNDRETTE e PRICK UP YOUR EARS: la descrizione dei gruppi di minoranze etniche a Londra, il razzismo di una società ormai dimentica della liberazione degli anni sessanta, la sessualità e la promiscuità come espressione non tanto di rivolta, quanto di amalgama fra i diversi.

Ciò che non ritroviamo è però la leggerezza, il tocco di noncurante sovversione delle opere precedenti. In SAMMY & ROSIE i concetti sono ben chiari: i tre maschi sono infatti meticci, e bianche le tre donne. Di umore omosessuali i primi, con qualche dubbio, almeno sulla carta, per il protagonista anziano. E lesbiche le seconde: ma a vocazione egualmente eterosessuale, non si capisce bene se per dovere di sceneggiatura o per una specie di ripicca ala morale corrente. Perché no? L'importante è crederci. E, per farlo, lo spettatore ha due strade: quella dell'identificazione coi personaggi o quella del rifiuto. Soluzione possibilissima, che ha dato sovente alla luce capolavori di sovversione grottesca. Ad una condizione: che la sceneggiatura, la progressione drammatica, le relazioni fra i personaggi, le loro psicologie conducano ad un incastro compiuto e logico - se non in termini di nostra partecipazione "morale" - di lettura analitica. L'indifferenza dello spettatore nei confronti dei personaggi terribilmente tipati, mal scelti fisicamente già in partenza (possibile che un regista gay debba scegliere fra i suoi anche gli stalloni di presunta focosità etero?) fa si che si concentri sull'unica ragione d'interesse del film.

Nella sua vecchia specialità, Frears non delude: le sommosse stradali (ispirate alle note rivolte del sobborgo di Brixton), con le rincorse frenetiche fra polizia e dimostranti, costruiscono una tela di fondo fremente, sulla quale un racconto più ispirato avrebbe potuto articolarsi vigorosamente. E così gli interni, quelli disordinati ma già d'aspirazione borghese dei giovani emigrati, come le baracche dei marginali ai limiti della clochardizzazione. O l'abitazione tradizionale, di una serenità tutta britannica, della donna che il vecchio uomo politico tenta di riamare.

È un involucro prezioso, nel quale Frears ha voluto cacciare di tutto: vizi e stravizi della storia, della società, della morale, della politica e, naturalmente, degli individui che ci vivono dentro.

Troppo, anche per qualcuno che del troppo aveva sempre fatto virtù."


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