Al contrario di PLATOON, assai più trattenuto (e che proprio in questa osservazione distaccata trae i suoi motivi di maggior interesse: le scene d'attesa nella giungla, il realismo senza forzature), qui i soprassalti dello spettatore (le esecuzioni senza la pallottola in canna), i rilanci emotivi più o meno arbitrari (i falsi happy-end) si alternano alla violenza non sempre giustificata per creare lo spettacolo.

Indubbiamente Stone è un maestro nel forzare le dinamiche e scaricare le tensioni: lo stato d'assedio, il fuoco incrociato, le ambiguità politiche i tragici massacri del dramma centro-americano sono dipinti con un'efficacia (se non con una lucidità) implacabile. Ed il discorso di SALVADOR non è molto dissimile da quello di PLATOON: a furia d'impegnarsi in guerre ingiuste ed incomprese, gli americani finiscono per autodistruggersi. Fisicamente: poiché in ambedue i film si uccidono tra di loro.

Una tesi come un'altra. Così come quella degli opposti estremismi che fa capolino qui come in PLATOON: e che conferma che se Stone riuscirà ad ordinare il proprio entusiasmo formale, anche certe ambiguità dei ragionamenti non potranno che lasciar spazio ad una maggior lucidità.