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SALTO NEL VUOTO Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 18 settembre 1980
 
di Marco Bellocchio, con Anouk Aimée, Michel Piccoli, Michele Placido (Italia, 1980)
 

"Non c'è tragedia, non c'è infelicità che non sia stata la nostra infanzia a prepararla": questa frase di Bellocchio è la chiave di lettura del suo cinema migliore, al quale questo suo ultimo SALTO NEL VUOTO appartiene di diritto.

Nel corso di una inchiesta per istigazione al suicidio, un giudice italiano (Michel Piccoli) incontra un individuo completamente all'opposto di se stesso (Michele Placido). Una specie di anarcoide che vive ignorando quelle costrizioni spirituali e materiali che invece condizionano il giudice. Il giudice, che forma una coppia marcata in modo ossessivo dall'infanzia con la sorella (Anouk Aimée), pensa di approfittare dell'incontro con il giovane ribelle per risolvere la tragica apatia di questa: forse, suggerendo indirettamente al giovane di eliminarla. Ma la ventata liberatoria del giovane guarirà invece la donna, condannando al "salto nel vuoto" il giudice.


I titoli di testa del film sfilano su una foto di gruppo, ragazzi riuniti, fine anno scolastico: fin dalle prime immagini Bellocchio ci indica esattamente l'origine del malessere, della miseria, della follia che imprigiona i suoi protagonisti: l'infanzia. Divenuti adulti, li rinchiude in un appartamento dalla luce verdastra, che i pochi raggi di sole trapelanti dalle imposte socchiuse non riescono a riscaldare; dagli oggetti squallidi, dalle serrature composte da infiniti chiavistelli che proteggono dal mondo esterno le quattro miserie domestiche.

All'interno di questo mondo lontano dal sole Bellocchio osserva il gesto quotidiano, il modo di portare la punta di una forchetta fra le labbra, quello di versarsi un dito di acqua minerale, di togliere una piega dal cuscino, di posare il ferro da stiro. Pochi, nel cinema attuale, sono capaci come lui di mostrarci la follia che sta dietro il nostro comportamento di tutti i giorni. SALTO NEL VUOTO è un film sussurrato, in chiaroscuro, nel quale la costrizione, la mediocrità, la tristezza dello spirito (e quindi anche del fisico) si traducono in maniera allucinante nella ripetitività del comportamento. Quando il personaggio di Placido entra in scena, e dice al giudice "io sono il contrario di te", è per la rivoluzione apportata dal proprio comportamento (e che la regia di Bellocchio segnala puntualmente) che gli animi si sconvolgono, e che i nodi terribili dell'infanzia vengono a sciogliersi.

Nel rituale del gesto quotidiano è tradotta la follia del nostro tempo, oltre che quella dei protagonisti: e comprendiamo ben presto che spezzare questo rituale significa trovare la salvezza. Piccoli lascia cadere ripetutamente la sua forchetta, nel silenzio assurdo dell'appartamento, sulle piastrelle lucidate di fresco. L'indifferenza generale con la quale questo suo gesto di estrema rottura delle regole è accolto, gli fa comprendere di non esistere ormai più.

Il finale è splendido: la donna, in un supremo gesto di ribellione e di apertura alla vita, decide di andare al mare con la giovane domestica. Ed il giudice rimane da solo nella prigione domestica. La macchina da presa, che aveva seguito fino a quel momento con estrema discrezione i gesti della follia quotidiana dei protagonisti, si anima quasi disperatamente. E in un'ultima, convulsa panoramica ci mostra quegli ambienti ormai privi di ogni significato. Per soffermarsi sul giudice e sulla sua decisione finale, colta con una intuizione, una giustezza indimenticabile. Splendidamente interpretato, in modo speciale da Anouk Aimée, SALTO NEL VUOTO è un film dalle mille risonanze, poche delle quali abbiamo potuto riassumere. Ci dice molte cose: che pochi nel cinema sanno materializzare i sentimenti umani come l'autore de I PUGNI IN TASCA. Che questo, a parte l'episodio di MATTI DA SLEGARE, è forse il capolavoro del regista, dopo IN NOME DEL PADRE. E che il cinema italiano del dopo Fellini-Antonioni e compagni è sovrastato imperiosamente dalla lucidità, dalla originalità, e dalla maturità linguistica dei momenti migliori di Bellocchio.


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