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RAIN MAN - L'UOMO DELLA PIOGGIA
(RAIN MAN)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 30 marzo 1989
 
di Barry Levinson, con Dustin Hoffman, Tom Cruise, Valeria Golino (Stati Uniti, 1988)
 
Il successo che ha sempre premiato il cinema americano nasce di questi tempi da una formula precisa: un tema, un soggetto importante, sul quale s'imposta una creazione spettacolare d'attore.

RAIN MAN è uno dei migliori risultati di questa formula: l'autismo è un termine che da qualche settimana ognuno maneggia come le noccioline al bar, ma che fino all'altro ieri era qualcosa a metà strada tra una problema meccanico ed il nome di un movimento di solidarietà internazionale. In quanto a Dustin Hoffman - al quale si deve il film - era dai tempi di TOOTSIE che non si regalava più un ruolo a sensazione, di quelli che gli permettendo di contendere statuette e riconoscimenti all'amico Al Pacino.

Il suo Charlie Babbitt rimarrà nella memoria: perché si ha un bel dire che si è semplicemente limitato a giocare sull'inespressività. Ma per un attore, e sopratutto per un attore portato ad aggiungere piuttosto che togliere, non dev'essere facile rinunciare alle proprie armi espressive, gli occhi inanzitutto, e poi la mimica.

Dato a Dustin ciò che è di Dustin, va anche fatto un pensierino su cosa avrebbe potuto ottenere, da un tema come quello di RAIN MAN, un grande regista: qualcuno, cioÈ, capace di tradurre la difficoltà di comunicare (del protagonista, ma anche del fratello Tom Cruise, della ragazza Valeria Golino, ecc. ) in valori espressivi che non fossero soltanto la recitazione, per brillante che sia, di un attore.

Quando Scorsese vuol esprimere l'esaltazione e l'angoscia di vivere oggi in un ambiente urbano, gira FUORI ORARIO. Non si limita ad ottenere il meglio dai suoi attori, ma fa in modo che ogni rappresentazione dell'ambiente, ogni elemento di linguaggio a sua disposizione (per esempio il montaggio, o l'uso del colore, dei suoni) tenda a sottolineare quella dialettica tra stimolo e mortificazione che costituisce uno dei temi del film.

Levinson (DINER, THE NATURAL, TIN MEN, GOOD MORNING VIETNAM) è il tipico esempio di un ottimo e mai grande regista: il suo lavoro "al servizio" del soggetto è encomiabile, cosi come più che saggia la volontà di mai cadere nel lacrimoso, di evitare l'impiego della grossa artiglieria (il drammone con medici, avvocati e polizia), di sforzarsi di penetrare nell'intimo. Ma è un viaggio d'introspezione che stenta a riuscire, più dettato dalla performance di Hoffman e dalle dichiarazioni di Cruise che da ciò che scorre davanti ai nostri occhi: il viaggio nell'America delle road movie, autostrade e motel, che non illumina particolarmente il protagonista né tantomeno lo spettatore, una visita a Las Vegas filmata come in un telefilm, le discussioni fra i personaggi che hanno la fortuna - si fa per dire - di potersi esprimere (i colloqui con i medici, la lunga introduzione) che si trascinano laboriosamente.

Il successo di RAIN MAN dimostra insomma che il pubblico ha encomiabilmente voglia di capire problematiche che gli erano finora ignote. Esposte con istrionico garbo: e, preferibilmente, poco mistero.


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