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QUATTRO MATRIMONI E UN FUNERALE
(FOUR WEDDINGS AND A FUNERAL)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 7 settembre 1994
 
di Mike Newell, con Hugh Grant, Andie Mac Dowell (Gran Bretagna, 1993)
 
Andy McDowell e Hugh Grant
Qualora occorresse, QUATTRO MATRIMONI rappresenta la conferma che degli ottimi attori, una buona storia, dei dialoghi vivaci bastano per ottenere un film godibile perfettamente. Ma sono chiaramente insufficienti per farne uno ottimo: quando manca il rigore assoluto di una sceneggiatura, e l'invenzione costante di uno sguardo registico.

QUATTRO MATRIMONI è il tipico film simpatico. Ma del quale sarebbe disonesto non segnalarne i limiti: e per il quale, immancabilmente, il critico arrischia di attirarsi i fulmini dello spettatore. QUATTRO MATRIMONI promette infatti molto; e non può che mantenere in parte. Promette la denuncia di una situazione (per non dire addirittura di una società, di una morale) attraverso la sua ripetitività. Attraverso, cioè, l'analisi di un elemento che può essere, in effetti, rivelatore: il cerimoniale.

Nel film dell'autore di un primo e ottimo DANCE WITH A STRANGER (al quale hanno fatto seguito altri assai più discutibili, come quella recente, condiscendente brutta copia di CASA HOWARD che era UN INCANTEVOLE APRILE) il metodo che si vorrebbe rigoroso di questo approccio sta già nel titolo: una serie di cerimonie - condotte tre volte su quattro sul tono umoristico - nelle quali sono coinvolti lo stesso gruppo di personaggi. Ed un protagonista. Il seducente (quasi troppo per l'economia del film, forse altrimenti per il legittimo incanto delle spettatrici) Hugh Grant: scapolo super-appetibile, al quale viene continuamente proposto il ruolo di testimonio di nozze, senza per questo (o proprio per questo) che si decida al grande passo. Incontra l'incantevole sorriso di Andie MacDowell nei panni di un'americana vagamente spregiudicata, e impiega oltre il lecito (attraverso una serie di vicissitudini che non staremo certo a narrarvi) a fare quella fine che molti dei suoi impenitenti modelli - da Gary Cooper a Cary Grant, da Gregory Peck ad infiniti altri in situazioni del genere - non hanno mai potuto cinematograficamente evitare.

Ma il rigore sta tutto nell'assunto: in realtà, un po' perché giustamente Newell non può non abbandonarsi al piacere delle divagazioni tutte british, proposte dai soliti personaggi deliziosamente snob ed eccentrici, un po' perché gliene manca la voglia (e probabilmente la capacità), il suo film tende a zigzagare se non proprio a sbandare. Le convenzioni, insomma, della commedia, i trucchetti in parte riusciti, in parte immancabilmente meno, prevalgono progressivamente (con l'eccezione, dovuta, del funerale) sulle esigenze dell'analisi sociale e psicologica.

Perché no, diranno gli spettatori di cui sopra, se tutto ciò non è fatto che per il nostro piacere? Perché no, non si può che rispondere, se vogliamo accontentarci di un appetitoso antipasto, sacrificando in partenza l'idea del piatto forte.


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