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QUASI AMICI - INTOUCHABLES
(INTOUCHABLES)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 12 marzo 2012
 
di Olivier Nakache e Eric Toledano, con François Cluzet, Omar Sy, Anne Le Ny, Clotilde Mollet, Audrey Fleurot (Francia, 2011)
 
19'152'804, è il numero incredibile, aggiornato a una settimana fa, degli spettatori francesi che hanno visto QUASI AMICI - INTOUCHABLES. Soltanto il TITANIC di James Cameron aveva superato i 20 milioni di spettatori; ma per il film di Nakache e Toledano non è ancora finita, mentre HARRY POTTER e AVATAR già si sono persi di vista. Di questo successo mostruoso interessa allora capirne i motivi, più che che relativizzare i limiti di un film semplice, sensibile e nemmeno troppo furbo che ha evidentemente toccato punti sensibili della società contemporanea. Ma che, altrettanto ovviamente, non è destinato a sconvolgere le prospettive del linguaggio audiovisivo.

Traducendo con i soliti paraocchi il titolo francese in "quasi amici" i distributori italiani hanno beceramente arrischiato di fraintendere il segreto prezioso appena celato dietro quell' "intouchables": due individui, due destini, due universi che (come tanti della nostra epoca) tutto divide, e che mai dovrebbero riuscire a toccarsi. Ma che al contrario, come in tante favole alla Cenerentola e di un sogno una volta tanto non all'americana, riescono ad incontrarsi: Philippe, che è bianco, ricchissimo e tetraplegico; e Driss, che è nero, povero, appena scarcerato, ma in compenso disinibito e vegeto.

Dalla franca comicità della faccenda (l'esilarante Omar Sy è uno degli entertainers più popolari della televisione francese) come dalla sua tragicità (un perfetto François Cluzet, costretto ad affidarsi alla sola mobilità dello sguardo) arrischiava di nascere una commedia fastidiosamente patetica o inutilmente revanscista: l'equilibrio delicato della sceneggiatura, quella provocazione attualissima di far combaciare la vitalità delle banlieus emarginate alla stagnazione degli hotel particuliers altoborghesi, la padronanza di tutti gli attori attori ha condotto invece a quel gioco, utile oltre che dilettevole, degli estremi che si toccano. A una paradossale comunione nelle avversità, nella quale cosi tanti spettatori hanno finito per ritrovarsi.

Le infinite contraddizioni che una storia oltretutto autentica si è divertita a elencare hanno condotto all'universalità del film, a un modo poco pedante per dirci che ricchezza e precarietà, salute e malattia, esuberanza e discrezione, vitalità e impotenza, cultura e istinto, pietismo e naturalezza finiscono per appartenere a tutti. Non basta a farne un capolavoro, ma un successo popolare nel buon senso della parola, si.


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