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QUANTUM OF SOLACE Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 10 novembre 2008
 
di Marc Forster, con Daniel Craig, Olga Kurylenko, Mathieu Amalric, Judith Dench; Giancarlo Giannini (Stati Uniti, 2008)
 
“My name is Bond, James Bond”. Dimenticatevelo. Alla sua ventiduesima (!) riedizione, dal 1992 di DR.NO, uno dei miti più duraturi, generalizzati e universalmente amati del dopoguerra cinematografico si è dissolto nel nulla. Nel vuoto, apparentemente sempre redditizio, della sgomma-scazzottatura, ricca di dovere dei soliti 250 milioni. Ma, anche inteso in quel senso, orfano della sintesi grafica di un John Woo di MISSION IMPOSSIBLE, o meglio ancora di FACE OFF; dell'astrazione progressiva e la funzionalità adrenalinica del THE BOURNE ULTIMATUM di Paul Greengrass con Matt Damon; finanche della creativa fisicità, alimentata dagli spettacolari paradossi cinetici (ricordate l'inseguimento sulle gru del porto del Madagascar?) del CASINO ROYALE di Martin Campbell; del quale questo titubante, quanto il proprio titolo, QUANTUM OF SOLACE costituisce un seguito sfortunatamente regressivo.

Non a caso, forse, il primo è cinese, il secondo inglese, il terzo neozelandese. Qui, Bond con il suo corollario di Dry Martini e Dom Perignon d'annata, segretarie estatiche e condiscendenti, apparati burocratici nelle nebbie bon ton del Foreign Office, uso spregiudicato ma quanto autoironico dei gadget più aggiornati come delle accoglienti lenzuola king size nelle più glamorose suite cinque stelle del mondo, l'infilata costantemente aggiornata delle clamorosamente sexy e doverosamente ambigue Dark Ladies tradotte in Bond Girls, tutto ciò è tornato agli americani.

Che, intendiamoci, nel precedente CASINO ROYALE (il primo all'insegna del putiniano machismo di Daniel Craig) la svolta per la serie che avevamo osato definire di Genesi dell'Eroe, quella che sembrava essere l'idea migliore dai tempi delle mitiche ma ormai irripetibili atmosfere basate sull'autodivertita seduzione di Sean Connery, sembravano pur averla trovata: traslare quello charme antico nell'attrazione (ahimé?) più consona ai nostri tempi per l'uomo d'azione sbrigativo, non molto dissimile dai cattivi che stanno dall'altra parte, giustiziere non esattamente indulgente, sempre meno sentimentalmente vulnerabile, sempre più ribelle alla flemma londinese di Q e Moneypenny.

La vicenda di QUANTUM OF SOLACE avrebbe dovuto alimentare queste intenzioni: 007, ormai impossibilitato a dimenticare il tradimento e la morte dell'amata Vesper Lynd (Eva Green, nell'episodio precedente), si è ormai trasformato in un killer che sbrigativamente abbatte ogni sospetto (a dire il vero, scarsamente assodato in fase di sceneggiatura) delle naturalmente dilaganti nefandezze criminali. Una riflessione, doppiata dalla rivalsa parallela nei confronti del dittatore boliviano che ha sterminato la famiglia dell'inutilmente seducente compagna (la modella russa Olga Kurylenko), confrontata alla cupa indifferenza del macho manesco, sui limiti, e naturalmente l'opportunità di ogni forma di vendetta.

Viaggio interiore, in favore del quale avrebbero dovuto entrare in scena regista (lo svizzero a Hollywood Marc Forster, autore dei non indifferenti e introversi STRANGER THAN FICTON, NEVERLAND o MONSTER'S BALL) e sceneggiatore (un grande, autore e regista nientemeno che di CRASH e di NELLA VALLE DI ELAH di Eastwood). Il primo, associato tardivamente al progetto, appartiene a un universo diverso; così, a dispetto dei soliti spostamenti charter tra il palio di Siena, il canale di Panama e la Bolivia, le sole sequenze creative e relativamente eccitanti risultano essere quelle girate fra le quinte di una Tosca alla stagione operistica di Bregenz, finalmente coniugate con delle intuizioni stilistiche. Più grave la quasi incomprensibile latitanza di Paul Haggis: non solo i suoi normalmente significativi intrecci si perdono nel seguito insipido d'inseguimenti e pugni sul muso, ma un fondamentale elemento alla riuscita come il Cattivo, interpretato da Mathieu Amalric (un magnate falso ecologista, che tenta di accaparrarsi l'acqua piuttosto che il petrolio del mondo), sembra uno studente parigino precocemente invecchiato in vena di birichinate.


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