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PALLOTTOLE SU BROADWAY
(BULLETS OVER BROADWAY)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 26 febbraio 1995
 
di Woody Allen, con John Cusack, Jack Warden, Chazz Palmieri, Dianne Wiest, Rob Reiner (Stati Uniti, 1994)
 
"Quasi si lasciasse cullare dalle delizie della creazione per evadere dalle vicissitudini personali, gli ultimi film di Woody Allen sembrano appartenere tutti alla sua vena umoristica; meno preoccupati di quell'alternanza fra opere comico-satiriche ed altre di riflessione-nostalgica che aveva caratterizzato da sempre la sua straordinariamente prolifica carriera.

"Anche se questo valeva per il precedente MISTERIOSO OMICIDIO A MANHATTAN, nel quale volevo semplicemente far ridere. Qui, sono maggiormente preoccupato dal problema dell'artista: come le persone assumono l'apparenza dell'artista, ma senza potere veramente imitare ciò che sta dentro di lui. A quale stadio, ad esempio, accettiamo dei compromessi, ed a che momento ne siamo coscienti? È possibile essere un artista ed, allo stesso tempo un individuo abominevole? È possibile che un artista si spinga fino ad uccidere per poter creare? Tutte questione filosofiche che mi interessavano: ma che non volevo trasformare in un corso che annoiasse il pubblico... È la ragione per la quale ho scelto dei personaggi caricaturali."

Quanti artisti - aggiungiamo noi - sognano per una vita intera di trasportare le loro intenzioni su una tela, un foglio di carta, un pentagramma o una pellicola? Il dono prezioso, la grazia così rara di poter trasformare il proprio pensiero in una forma artistica perfettamente adeguata (ma con una leggerezza, una perfezione totalmente esente da pedanteria) è ciò che fa grande,incantevole ed ineguagliabile il cinema di Woody Allen. Ambientato fra la gente di teatro di Broadway, ma all'epoca dei gangster e della proibizione, BULLETS OVER BROADWAY racconta di un giovane ed ambizioso commediografo che, pur di riuscire a farsi finanziare il suo primo play, accettata i soldi di un boss mafioso: che deve soddisfare la voglia la smania di recitazione della sua pupa dalla voce di cornacchia. Con i soldi del gangster, il nostro ingaggia la Grande Diva ormai decadente ma sempre vogliosa (Dianne Wiest, al solito perfetta), l'Attore Inglese reduce da Shakespeare e con qualche problema di bulimia (Jim Broadbent, impagabile); ma si ritrova fra i piedi Cheech, il gorilla del gangster incaricato di non mollare un attimo la pupa-cornacchia. Sarà questo personaggio (interpretato con formidabile adeguatezza da Chazz Palmieri, il buon padrino del film di de Niro, A BRONX TALE) tenuto costantemente nell'ombra (della platea, del cappello calcato sulla fronte) a costituire il vero perno, straordinario, attorno a cui ruoterà l'imprevedibilità di una così esile vicenda.

Perché BULLETS non è, evidentemente, l'omaggio nostalgico ad un'epoca scomparsa, oppure l'esercizio di stile brillante sulla meccanica che conduce un testo a farsi teatro, ad un film a farsi cronaca di questa mutazione: "Dovevo creare dei personaggi da disegno animato, sennò tutto diventava un trattato serioso sull'arte e gli artisti...Dovevo esagerare. I miei eroi non provengono dalla vita, ma dalla loro mitologia: dalla diva al gangster, al produttore, al drammaturgo idealista, all'intellettuale marxista."

No, BULLETS è un passo innanzi rispetto a RADIO DAYS, ricreazione piena di charme e melodie d'epoche ma anche un po' decorativa: qui la magnifica meccanica - certo più comica che tragica - che governa il desiderio di creare, di giungere al potere fino alla mistificazione e quindi all'inevitabile (e così squisitamente alleniana!) colpevolezza, è filmata senza la minima accentuazione espressiva. Senza la più recondita tentazione di sottolineare spettacolarmente la gag comica, o la sorpresa drammatica (forse per la prima volta in un film di Woody si spara e si uccide: certo, con una disinvoltura tutta sua); senza intervenire - con dei primi piani, con dei movimenti della cinepresa - sulla realtà osservata.

A questo modo, quel mondo tutto rinchiuso (pur se girato interamente in ambienti naturali, il film sembra creato in studio), bagnato dalla luce suadente di Carlo di Palma, si libera di ogni compiacimento. Sul filo dei soliti, irresistibili dialoghi diventa quella riflessione seria (e quindi intelligente, e tenera, e poetica) ma pure disincantata, graffiante ed umoristica sul mondo, interiore ed esteriore dell'autore.

Far ridere, ed al tempo stesso riflettere. Coloro che si ostinano ancora a considerare Allen come un semplice, prolifico entertainer dovrebbero meditare sulla grande lezione di Chaplin; e chinarsi su di una maestria cinematografica (certamente fra le poche, somme del cinema americano contemporaneo) che gli permette di tradurre quel principio con una facilità incantevole. E quindi con un piacere, rinnovato ad ogni opera come per incanto, che egli riesce a trasmettere ad ognuno dei suoi spettatori."


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